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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Brexit, prodotti "made in Treviso" a rischio con l'uscita dall'Unione Europea

Nei primi nove mesi del 2019 il Regno Unito si è confermato come una delle mete in cui si è mantenuta alta la richiesta di beni Made in Treviso con un aumento significativo del +4,8

Il made in Veneto verso il Regno Unito vale 3,7 miliardi negli ultimi dodici mesi (il 15,3% dei 24,9 miliardi del totale Italia), e risulta in salita del 5,4% rispetto ai dodici mesi precedenti, il ritmo più accentuato degli ultimi quattro anni. Si tratta del terzo valore più alto in valore assoluto dietro a Lombardia (5,2 miliardi) ed Emilia-Romagna (4,5 miliardi), e in termini percentuali pesano il 15,3% di tutto l’export Italiano d’oltremanica.

Il made in Italy destinato al Regno Unito rappresenta l’1,59% del valore aggiunto nazionale e la nostra Regione è la seconda in Italia per esposizione con il 2,61% dopo l’Emilia-Romagna con il 3,24%. Seguono la Toscana con il 2,34%, l’Abruzzo con il 2,34%, il Friuli-Venezia Giulia con il 2,24% ed il Piemonte con il 2,13%. Passando ai settori, i più performanti -e quindi più esposti a possibili problematiche- sia in termini di crescita che di valore sono: Macchinari e apparecchiature nca (612 milioni di euro, +13,2% negli ultimi 12 mesi), Bevande (490 milioni di euro, + 2,6%), Articoli di abbigliamento (334 milioni di euro, +10,4%) e Articoli in pelle (301 milioni, +3,9%). Da soli rappresentano quasi il 50% delle nostre esportazioni. A livello provinciale infine si osserva un grado di esposizione doppio rispetto alla media nazionale per Belluno (4,10%), Treviso (3,83%) e Vicenza (3,60%).

«Merita sottolineare che al momento i temuti effetti negativi della Brexit non ci sono stati – osserva Vendemiano Sartor, presidente Confartigianato Imprese Marca Trevigiana - e che il Regno Unito è una delle mete in cui si è mantenuta alta, nei primi nove mesi del 2019, la richiesta di beni Made in Treviso con un +4,8. Ovviamente – continua il presidente Sartor - dobbiamo essere pronti a considerare che le imprese che commercializzano con l’UK dovranno far fronte a una serie di problemi, al di là degli esiti del negoziato in partenza a febbraio. Alla mezzanotte di venerdì 31 gennaio infatti, il Regno Unito sarà formalmente fuori dall’Unione europea. Scatterà al contempo un periodo di transizione, che durerà fino al 31 dicembre 2020, nel corso del quale le parti negozieranno quella che sarà la loro futura relazione. In questo periodo, sebbene uscito, il Regno Unito sarà ancora soggetto alle normative legate al mercato unico e quindi rimane del tempo per valutare azioni e contromisure a misura di MPI. Ciò che ci allarma – precisa Sartor – sono le conseguenze derivanti dalla rinuncia al mercato unico e all'unione doganale. Ad oggi la principale incertezza è legata all'andamento dei negoziati dai quali non si può escludere che rispuntino i dazi sui prodotti scambiati tra Ue e Regno Unito. In particolare il settore più a rischio per le MPI potrebbe essere quello alimentare. Per loro le complicazioni dei costi si sommano a quelle sulle tempistiche (totalmente ignote) di sdoganamento della merce che potrebbero scontrarsi con la data di scadenza di molti prodotti».

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