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«La distanza tra popolo e politici ha fatto sorgere rabbia e indignazione»

Il vescovo di Treviso, Gianfranco Agostino Gardin, ha incontrato giovedì pomeriggio politici e amministratori locali della diocesi di Treviso in occasione del Natale

Ringrazio vivamente per l’indirizzo di saluto e per l’augurio che mi è stato rivolto a nome di tutti. Vi ringrazio di essere qui. In questa vostra presenza scorgo una considerazione e una cortesia nei miei confronti che, sinceramente, un po’ mi imbarazza. La interpreto - spero correttamente - come un atto di attenzione e anche di stima per quanto fanno le nostre comunità cristiane, le nostre parrocchie, e altre istituzioni cristiane, che cercano di contribuire ad una convivenza sociale serena, pacifica, solidale, attenta ai più poveri. Del resto un cristiano che non si curi di essere anche un “costruttore” della polis e un buon cittadino non è neppure un buon cristiano. Papa Francesco dichiara senza mezzi termini che l’annuncio cristiano «possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri» (Evangelii gaudium, 176); vi è l’invito a «lasciarsi amare da Dio e ad amarlo con l’amore che Egli stesso ci comunica»; ma questo annuncio «provoca nella vita della persona e nelle sue azioni una prima e fondamentale reazione: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri» (Ivi, 178).

Proprio ispirandomi a questi princìpi irrinunciabili - i quali scaturiscono, tra l’altro, dal fatto che al cuore del cristianesimo vi è il mistero del Dio che si fa uomo, che assume la nostra “carne” - io mi permetto di offrire, come di consueto in questa circostanza, qualche considerazione; sia pur entrando “in punta di piedi” in tematiche che esigono una competenza ed esperienza che appartengono certamente più a Voi che a me. Anche se il frequente contatto con la gente, e dunque con tante situazioni di vita, mi rende ascoltatore di situazioni umane, di problemi, di domande, di attese di tante persone. Parto dalla innegabile constatazione che il tempo assai complesso che ci è donato di vivere è un tempo di sorprendenti, profondi e vorticosi mutamenti sul piano culturale, sociale, politico, perfino su quello antropologico. Pensiamo quanto diversamente dai nostri nonni noi stiamo vivendo la nostra avventura umana. E i nostri figli e nipoti stanno già vivendo la loro esperienza in modo sempre più diverso dal nostro.

Questi cambiamenti suscitano in noi curiosità ma forse anche inquietudine, perché non conosciamo dove ci porteranno e non sappiamo se ci lasceranno più soddisfatti o più disorientati. Ma noi come li viviamo? Semplicemente da spettatori in attesa? Li subiamo? Li accettiamo e basta? Soprattutto: sappiamo apportare a questo tempo così cangiante un nostro contributo attivo per una sua evoluzione a favore dell’uomo? A me pare che, se fosse questa la nostra scelta, ci sarebbe chiesto: anzitutto un’assunzione di consapevolezza di che cosa sta mutando; poi un attento e costante discernimento per cogliere quel vero, buono, bello che, in forme nuove, anche da questi cambiamenti può nascere; infine la capacità di divenire, con umiltà, guida sociale nei ruoli di responsabilità che ci vengono/vi vengono affidati. Ho pensato di segnalare, con semplicità, dieci brevi elementi, tra loro collegati, che forse meritano una certa riflessione, pensando (spero senza presunzione) che possano costituire un piccolo sostegno nel vostro impegno, che è arduo ma potrebbe anche essere avvincente. Propongo allora dapprima tre princìpi di riferimento; poi tre attenzioni speciali cui dedicarsi; e infine quattro requisiti che a me paiono importanti per un buon politico, oggi. Una specie di “decalogo”.

Tre principi di riferimento

Forse potrebbero ispirare e animare mente e cuore del politico.

1. Agire in servizio al bene comune. Espressione questa, in verità, talora inflazionata, quando non abusata. Mi sia permesso citare in proposito alcune espressioni del Presidente della Cei, card. Bassetti: Nella complessità di questa stagione i limiti individuali possono trovare una compensazione soltanto nella dimensione comunitaria, educandoci a pensare e ad agire insieme. La politica migliore è quella che opera in unità di mente e di cuore, senza cadere in faziosità. Al riguardo, a cent’anni dalla morte, l’esempio del nostro beato Giuseppe Toniolo ha molte cose da dirci: in una situazione in cui i cattolici erano politicamente irrilevanti e comunque impediti, egli seppe riunirli attorno ad un impegno per il lavoro, la giustizia e la pace sociale; con il suo servizio culturale divenne promotore di legislazioni e di opere sociali a favore delle classi più disagiate. Così, la sua visione di un’economia per l’uomo, permeata dall’etica e governata dai principi di sussidiarietà e di solidarietà, rimane una lezione estremamente attuale. Il trevigiano Giuseppe Toniolo rifiutò la separazione tra etica ed economia e scelse di porre al centro della propria elaborazione teorica la categoria di “bene comune”. Per chi è credente vorrei ricordare che il servizio all’economia e alla politica non ci estranea dalla fede. Tutt’altro. Le encicliche Caritas in veritate di Benedetto XVI e Laudato si’ di Francesco ci indicano la direzione: la fede è capace di dare unità all’insieme delle esigenze intellettive, spirituali e di azione delle persone e di indurci a privilegiare sempre nelle scelte l’interesse generale vero che si riflette su vantaggi per tutti.

2. Un secondo principio: dotarsi di libertà e fedeltà. Libertà della mente e della coscienza: due condizioni fondamentali per un uomo, per un cittadino. Lasciatemi esprimermi così: lo sono ancora di più per te che agisci in nome e per conto di altre persone, della cui vita per molti aspetti divieni responsabile. Libero dagli stessi poteri che eserciti (politico, economico, finanziario, mediatico, del successo, del possesso), libero da pregiudizi, da pressioni, ricatti, minacce, da trattamenti di favore ottenuti o concessi, da legami coinvolgenti o compromissori, dal godimento di privilegi che ti distaccano dai cittadini e dal senso del servizio, perché ti saldano al potere e ti inducono a trasformare l’esercizio politico in autoaffermazione o ridurlo a mestiere. Se sei libero nella tua coscienza nell’atto di valutare, discernere e giudicare, sei molto più sereno e obiettivo nelle decisioni, capace di ascoltare con animo propenso al suo bene qualunque cittadino voglia parlarti, compreso quello che non vota per te e che ti si oppone, ma per il quale tu mantieni i medesimi obblighi e doveri che hai per il cittadino che ti è vicino nel modo di pensare. Però, per agire così, devi possedere dentro di te alcuni valori alti che ti ispirino, che rimangano per te fissi e che devi saper coltivare: valori di carattere ideale ed etico, che valgono anche nella tua vita di famiglia, di professione e di relazioni, che ti aiutano a motivare i ‘sì’ che dici, come pure ti danno la forza e il coraggio di motivare e di dire i necessari ‘no’ ai cittadini. C’è oggi un forte bisogno di personalità di riferimento che parlino e agiscano in nome di ciò che davvero vale, con libertà e disinteresse, oltre il pragmatismo e il vantaggio personale. E i cittadini intuiscono e apprezzano quando ciò avviene, anche se non lo manifestano sempre con il consenso immediato.

3.  Un terzo principio: creare cittadinanza attiva. L’ampia distanza, e anche le tensioni, createsi tra il popolo e i suoi rappresentanti, la crisi economica, l’assenza di prospettive chiare e il disorientamento circa le condizioni e le qualità di vita e di lavoro attuali e future, hanno prodotto un terreno fertile per far sorgere in tanti rabbia e indignazione. L’indignazione è spesso atteggiamento necessario, indice di una buona salute etica, specie se si accompagna alla disponibilità di farsi carico delle ingiustizie, per correggerle. Ma l’indignazione, come pure l’accorata domanda di un futuro diverso e migliore, sono atteggiamenti da maneggiare con attenzione, perché da sole non bastano, specie se chi si indigna pensa di essere l’unico ad avere ragione, se il suo diviene un fondamentalismo ideologico, se ricorre a forme e mezzi sobillatori e demagogici, se prospetta soluzioni impossibili. La politica non è semplicemente indignazione di fronte a ciò che non va; è molto di più, perché deve perseguire obiettivi, suscitare e orientare forze, individuare modi e forme di ascolto e di incontro, e portare a soluzioni per quanto possibile condivise. Politica non è “io”, ma “noi”, insieme: capaci - grazie alle qualità indispensabili di studio, competenze, tolleranza, disponibilità a promuovere il bene comune - di costruire un progetto di società realistico e possibile, che porti ad elevare effettivamente le condizioni di vita dell’intera comunità. Una cittadinanza attiva che il politico deve favorire tra i suoi concittadini appare molto urgente per spingere il cittadino a non starsene ai margini, limitandosi a lanciare anatemi, ma ad ascoltare, parlare, proporre, controllare e verificare, perché una società senza la buona politica non progredisce. E la buona politica vive della partecipazione e della fiducia dei cittadini.    

Tre attenzioni particolari

Le segnalo in maniera più concisa.

4. Anzitutto giovani e futuro. Rischiamo di rubare futuro ai giovani. Troppi si trasferiscono stabilmente all’estero, impoverendo di risorse intellettuali, economiche ed operative le nostre comunità. Ciò provoca un preoccupante impoverimento demografico con immediate ricadute sulle componenti di cultura, di economia, di risorse previdenziali, di capacità di azione dell’intera nostra società. A questo si aggiunge, stando ai dati statistici, un vero “inverno demografico”. A me pare che questo chieda, tra l’altro, la decisione di investire rilevanti risorse umane e finanziarie per la formazione e l’istruzione dei giovani, per il loro lavoro. Hanno diritto di progettare un loro futuro desiderabile, di crearsi una famiglia, di soddisfare le loro principali esigenze umane e sociali.

5. Le famiglie. A me pare che su questo tema serva alla politica una visione d’insieme, perché non sono i provvedimenti contingenti che risolvono le difficoltà a reggere, proprie delle famiglie, come pure la grave decrescita demografica, ma un progetto che comprenda il sostegno strutturale ai giovani e alle famiglie indigenti, la defiscalizzazione dei beni e dei servizi per l’infanzia, istituti di conciliazione lavoro-famiglia (molte donne vengono poste di fronte all’inaccettabile alternativa tra lavoro e maternità), gli incentivi alle imprese e agli investimenti per provvidenze concrete a sostegno familiare. Ma non dimentichiamo che, accanto alla povertà economica di molte famiglie, vi è anche la povertà di relazioni, quella di chi non ha reddito e cultura necessari per fronteggiare la malattia fisica e quella mentale, oppure la disabilità. Ci sono gli adulti schiantati da separazioni e divorzi che hanno lasciati impoveriti sia lui sia lei, anziani induriti dalle malattie e dalle solitudini, rintanati nelle case, giovani frustrati perché pesano ancora sulle famiglie, indebitamenti che gravano su di esse. È un intero tessuto sociale da riconnettere, per ricucire il futuro di quel patto tra generazioni che oggettivamente è a rischio e per ridare valore sociale alle famiglie.

6.  La coesione sociale. Rischiano oggi di prevalere anche nei nostri paesi le semine di odio e di contrapposizione, di rancore, di paure, diffuse e instillate anche da chi, per responsabilità e potere, dovrebbe mirare ad aggregare e unire. Assistiamo ad episodi seri di faziosità e di settarismo. Si mira ad estraniare dalle nostre categorie mentali i concetti di pluralismo e di tolleranza, di apertura e di collaborazione, di rispetto per ogni persona, di competenza e di merito, di legalità, di solidarietà e di coesione sociale. Diseducativi e ingiusti sono i condoni, illiberali sono le minacce alla libertà di stampa, anticristiane sono le scelte di rifiuto delle persone che chiedono aiuto. I cristiani, in particolare, devono sapere che solo la convinta messa in atto di scelte che esprimano accoglienza, cooperazione, solidarietà concreta, inclusione, sono in linea con il Vangelo; pena il contraffare il cristianesimo svuotandolo del Vangelo, e dunque di Cristo: proponendo così non solo un cristianesimo deformato, senza cuore, ma anche un cristianesimo “profanato”. Accenno infine a quattro requisiti che mi paiono utili, se non necessari, per affrontare le questioni in modo adeguato

7. Il primo è la formazione. Una società cresce nel suo insieme soprattutto in rapporto al crescere della conoscenza da parte di ciascuna persona, alla sua acquisizione di competenze generali e specifiche, al prezioso tesoro di esperienza che essa accumula. Non ci si può improvvisare esperti presunti, specie quando si prendono in mano le redini del carro che deve sostenere e trasportare gli altri. Una cultura che non valorizzasse adeguatamente l’impegno e lo studio, e una politica che non lo praticasse e quindi non lo comprendesse, porterebbe ad un grave impoverimento del capitale umano con livelli di incompetenza gravi, peggio se vantati e rivendicati. Né possiamo affidarci quasi unicamente alla rete digitale, grazie alla quale rischiamo di vivere nella dittatura del presente. In essa conta solo l’immediato: quel che si vede, si pensa, si fa. Narciso non ha passato, ma solo uno specchio in cui vede riflessa la propria fugace immagine. Non resta altro! Anche la necessaria apertura verso un mondo nuovo ha sempre bisogno del lascito di conoscenza, di pensiero, di elaborazione di chi ci ha preceduto.

8. Possiamo riconoscere un secondo requisito nella responsabilità e nel senso dei doveri. Il sentimento alto di responsabilità, ricco di umanità e di senso dello Stato, richiede a un politico di guardare avanti, al futuro: avvantaggiare i presenti, ad esempio mediante uno sfruttamento dissennato delle risorse della terra o mediante un irresponsabile indebitamento, e sacrificare le future generazioni che dovranno farsi carico dei danni e dei pesi conseguenti, appare una inaccettabile forma di egoismo di parte. Abbiamo tutti dei seri doveri verso le future generazioni, e il politico saggio e meritevole è colui che è capace - per usare le parole di Alcide De Gasperi - di «non guardare alle prossime elezioni, ma alle prossime generazioni». Il consenso non viene mai per primo. Ciò che viene prima di tutto è la singola persona, specie la più svantaggiata, con i suoi bisogni materiali e spirituali e i suoi diritti. Chi svolge incarichi pubblici (consigliere, sindaco, parlamentare, ministro…) può utilmente richiamare ogni tanto alla memoria l’art. 54 della Costituzione: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore». Il politico è invitato a proporre ai cittadini anche dei doveri e deve lui, per primo, farsene leale e visibile praticante, anche se ciò può nell’immediato allontanargli qualche consenso. Diritti senza doveri, diritti presunti che si trasformano magari in pretese, non costruiscono una comunità, ma lacerano il suo tessuto fino a distruggerlo.

9. Altro irrinunciabile requisito è la legalità e l’onestà. C’è un’etica pubblica - un senso della giustizia - una correttezza di fondo che devono stare stabilmente alla base dell’agire politico e sociale. Il politico diviene impostore e rovinoso se, per ottenere consenso, promette obiettivi e mete che sa essere troppo ardui o impossibili da raggiungere. La legalità e l’onestà inducono a promettere solo ciò che si può mantenere. L’onestà rifiuta la menzogna, la calunnia, il sospetto e la diffidenza create ad arte su eventi e su avversari, la derisione o la denigrazione dell’avversario, le fake news intenzionali, la decisione assunta sulla base di un calcolo di convenienza o di un interesse particolare.  

Tra i tanti mutamenti del tempo presente, constatiamo che anche le parole oggi sono mutate, divenute violente, aggressive o minacciose, e spesso anche inutilmente intessute di turpiloquio; e non è vero che il loro valore sia ininfluente: nella storia spesso dalle parole si è passati alle azioni (in molti casi violente). Anche nell’uso del linguaggio, perciò, va attuata l’onestà, che diviene correttezza e sincerità.

10. E infine l’atteggiamento della fiducia. La fiducia è la base necessaria della vitalità democratica che stringe in un rapporto di reciproca affidabilità la popolazione e i rappresentanti che essa designa. Nel caso del politico, la fiducia chiede anche che la sua vita mostri la pratica dei valori. Se la sua vita privata è basata su lealtà, rigore, rispetto della legalità, è molto probabile che queste virtù le pratichi anche nel suo impegno pubblico. Molto difficile è che accada il contrario. È la fiducia che alimenta la vita quotidiana di un sindaco, di un politico. Fidarsi di lui significa sapere che quel politico non ti inganna, che cercherà di fare il meglio che gli è possibile, quella che a lui sembra la scelta giusta per il bene comune. È un giudizio che bisogna meritarsi ed è faticoso meritarselo, ma è la migliore ricchezza che uno può ricevere. Ho osato rivolgere, quasi sommessamente, questi inviti a Voi che vi dedicate al nobile e necessario esercizio della politica. Vi assicuro che vi è nei vostri confronti, da parte mia, un senso di profonda gratitudine per l’impegno che profondete a favore delle comunità che, a vari livelli, vi sono affidate. So che tale impegno vi domanda anche non pochi sacrifici. Grazie davvero! Il Natale - Dio che non solo si protende verso l’umanità, ma entra dentro la sua storia, fino alle dimensioni più oscure, fragili e tormentate dell’esperienza umana – vi rafforzi nella vostra disponibilità ad operare per gli altri, soprattutto per coloro che hanno più bisogno del vostro servizio intelligente e generoso. A Voi, alle vostre famiglie, a tutti coloro che vi stanno a cuore, un augurio sincero e cordialissimo, accompagnato dalla mia preghiera.

† Gianfranco Agostino Gardin

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