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In prima linea contro il Covid-19, il racconto di un operatore socio sanitario

Fabio ha ottenuto l'abilitazione attraverso l'esame, svolto on line, a marzo e subito è stato chiamato a prestare servizio a Vedelago

E siamo infinitamente delicati nella nostra carità; non limitiamoci ai grandi servizi, abbiamo questa tenera delicatezza che entra nei dettagli e sa, con dei niente,  mettere tanto balsamo nei cuori – «Dategli da mangiare»: dice Gesù – entriamo nello stesso modo con quelli che sono vicino a noi nei piccoli dettagli di salute, di consolazioni, di preghiere, di bisogni, consoliamo, alleviamo con le più minuziose attenzioni.

Charles de Foucauld

Circa tre mesi fa avevo appena finito il mio percorso di studi per OSS – Operatore Socio-Sanitario, ed ero in attesa dell’esame finale per conseguire il titolo, previsto per l’11 marzo, quando è scoppiata la pandemia e tutto è cambiato. Il mio esame è stato annullato a causa del coronavirus. Subito mi sono preoccupato, mi dicevo “dopo tanti sacrifici adesso anche questo”. Ma ho trovato conforto nella preghiera, come dice il salmo 39: “Ho sperato: ho sperato nel Signore ed Egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido”.

Ed ecco arrivare la comunicazione: la Regione decretava gli esami in videoconferenza! Così il 2 aprile conseguivo l’abilitazione e realizzavo il mio sogno, in un giorno ulteriormente significativo, giorno del 15° anniversario della morte di Papa Wojtyla, il Papa con cui ho iniziato le Gmg e che durante il mio esame, ho sentito molto vicino. Dal lì a quattro giorni, dopo aver risposto ad un avviso pubblico, ho ricevuto un’offerta di lavoro presso l’Ospedale Covid di Vedelago; sono rimasto sbalordito inizialmente, mi sono chiesto: ma proprio io? Il Signore mi stava chiamando ad una nuova missione, dopo ben 18 anni passati sopra le ambulanze come autista soccorritore a supporto del Suem, assistendo alle situazioni più drammatiche, fra cui anche l’emergenza del sisma in Abruzzo e centro Italia. Come allora, nonostante le paure della mia famiglia, ho detto il mio sì, e subito dopo Pasqua, ho scelto di accettare la proposta, animato dal desiderio di aiutare il prossimo, in questo caso, le persone colpite dal SARS-COV-2.

Da un mese a questa parte, è iniziata questa esperienza professionale e personale, a contatto con persone colpite dal coronavirus, alcune in fase di guarigione e altre stazionarie in condizioni critiche, per le quali, cure intensive non servirebbero a migliorare il quadro clinico. Il lavoro mi porta a scontrarmi con la tristezza e la solitudine, la sofferenza e le lacrime dei pazienti che si sentono stremati e soli, pazienti che si aspettano qualcosa da noi… Lavorare nel settore sanitario oggi, vuol dire mettere sempre al centro la persona e il bene comune. Quindi il cittadino malato ha bisogno di comunicazione e di relazione; ha necessità di trovare negli operatori non solo competenza professionale, ma anche tempo di ascolto; ha bisogno di trovare “compagni di viaggio” con cui condividere la propria sofferenza, in questo tratto della sua vita. È evidente che come operatore socio-sanitario mi viene affidato un valore etico fondante, quale la tutela della persona umana, alla quale devo dare cura, con rispetto e responsabilità.

Appare scontato che senza relazione d’aiuto non c’è cura, quindi ogni giorno sono tante le occasioni per mettersi in gioco con l’empatia, il contatto (con 2 strati di nitrile) e il linguaggio verbale e non verbale. Premetto che, interagire con i ricoverati malgrado le tute, le mascherine, le visiere e i doppi guanti, non è stato facile, soprattutto a livello relazionale, perché i pazienti non ti vedono, non ti riconoscono, non c’è il contatto fisico diretto come in tempi normali. Poi pian piano essi imparano a riconoscerti, dagli occhi, dallo sguardo, dalla voce o dalle carezze; malgrado il doppio strato di guanti, il calore e il conforto di tali gesti, superano le barriere e trasmettono la nostra vicinanza a chi soffre.

Quando arrivi in reparto, alcuni ti salutano chiamandoti per nome, e poi si passa al racconto di come hanno trascorso la notte o la giornata… se hanno mangiato…come si sentono: si percepisce così, qual è il tono dell’umore. Dopo aver svolto le prestazioni assistenziali, ci si dedica all’animazione: si gioca a tombola, a carte, si balla e si guarda la tv. In questo periodo è di fondamentale importanza la tecnologia, attraverso un cellulare è possibile fare videochiamate ai parenti, per non farli sentire più soli di come sono.

Nel mese di maggio, mese mariano, previo confronto con il mio coordinatore infermieristico, ed in seguito ad alcune richieste delle pazienti, ho consegnato delle corone del rosario a chi lo desiderava, così malgrado la mancanza del servizio religioso a causa dell’isolamento, è stato possibile ogni giorno pregare con il Rosario, così da sentire Dio più presente. Di questo ringrazio don Giuseppe parroco di Paese, le suore Canossiane, le sorelle dell’ospedale San Camillo e di Cristo Re ed i cappellani ospedalieri per avermi fornito tutte le corone, altrimenti impossibili da reperire, a causa della chiusura delle Paoline per la pandemia.

Questa esperienza è stata per me, molto forte non solo dal punto di vista emozionale ma anche professionale.  Ho percepito l’importanza della preparazione e della competenza, ma anche del lavoro d’equipe; perché la cura riesca, è necessario che l’équipe funzioni, e che ciascuno svolga il proprio compito al meglio, interagendo con gli altri nel rispetto di ciò che ciascuno è chiamato a realizzare. Un momento particolarmente intenso è stato, l’accompagnare i pazienti, nella fase terminale della loro vita. In tale circostanza purtroppo, mancando familiari e parenti, ho avvertito l’importanza del gesto affettuoso – attraverso due strati di guanti – dello stringere loro la mano, della carezza, sicuro che quel calore umano, comunicava loro, per l’ultima volta, la tenerezza dell’amore familiare. La cosa più gratificante e che mi ha dato forza, è stata la guarigione di diversi pazienti e la loro riconoscenza, i loro grazie perché si sono sentiti a casa, non si sono sentiti soli, ma sostenuti e accuditi. Anche le parole-riportate nella premessa-di Charles de Focauld, danno il senso a questa professione: “Siate delicati nella carità”; così come  quelle di San Francesco:

“Oh Signore, fa di me uno strumento della tua pace: dov’è odio, fa ch'io porti l’amore, dov’è offesa, ch'io porti il perdono, dov’è discordia, ch'io porti la fede, dov’è l'errore, ch'io porti la Verità, dov’è la disperazione, ch'io porti la speranza. Dov’è tristezza, ch'io porti la gioia, dove sono le tenebre, ch'io porti la luce. Oh Maestro, fa che io non cerchi tanto di essere compreso, quanto di comprendere, di essere amato, quanto di amare poiché, è dando che si riceve, perdonando che si è perdonati; morendo che si risuscita a Vita Eterna.”

Amare è Servire!!! Ringrazio tutta la task force del covid di Vedelago con cui ho lavorato molto bene, persone umili ed eccezionali. Un grazie enorme a tutte quelle persone che hanno pregato per me: don Giovanni, il coro parrocchiale, le Discepole del Vangelo, la Croce Verde e tutti i miei amici.

Fabio Deplano

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