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Cronaca Casale sul Sile

La maxi truffa dei pannelli fotovoltaici: impianti dismessi rivenduti in Africa

Cinque arrestati, tra cui un trevigiano residente a Casale ed un marocchino residente a Crespano, e 91 indagati nella vasta operazione della Direzione distrettuale antimafia di Perugia che ha ipotizzato l'associazione a delinquere

Pannelli fotovoltaici smantellati e incentivati in Italia. Impianti da commercializzare come nuovi, sulla carta, in Africa. Documenti apparentemente in regola per l'imbarco dei container nei porti di Genova, Livorno, Ancona e la successiva vendita. Con guadagni illeciti che, passaggio dopo passaggio, si sommavano. Novantuno persone indagate, cinque finite in carcere, due ai domiciliari, 17 raggiunte da misure ristrettive in libertà. Quindici aziende umbre finite nel mirino della Procura del Dipartimento distrettuale antimafia di Perugia per un traffico illecito di rifiuti che configura, per gli indagati raggiunti da misure di custodia cautelare in carcere, l'ipotesi di associazione a delinquere. Sequestrati, in via cautelativa, beni mobili e immobili per oltre 40 milioni di euro.

L'indagine dei carabinieri del Noe parte dal sequestro di 300 tonnellate di riufiuti anche pericolosi, effettuato nel 2016 in un'azienda di Gualdo Tadino. Nel materiale sequestrato anche numerosi pannelli fotovoltaici. Da qui è partita l'attività investigativa che ha permesso di evidenziare come proprio i pannelli fotovoltaici arrivassero nell'azienda per essere smaltiti, ma in realtà, in base a quanto emerso, dopo una modificata etichettatura, le strutture formalmente dismesse sarebbero ritornate in commercio come nuove. Lo smaltimento dei pannelli ormai vecchi, e il conseguente recupero di alcune componenti, prevede un incentivo erogato dal Gestore Servizi Elettrici. Bonus, secondo le indagini, erogati indebitamente. 

Con documenti contraffatti, secondo le indagini realizzati grazie alla collaborazione di una tipografica eugubina, i pannelli, provenienti da tutta Italia, in particolare dalla Sicilia. Da Treviso, dove operavano figure ritenute centrali nell'organizzazione, venivano spediti via mare, presumibilmente venduti per la realizzazione di altri campi fotovoltaici oppure smaltiti in discariche, eludendo, però, legislazione e limiti imposti in Italia, e lasciando sottotraccia una consistente parte della reale attività industriale svolta.

Un intreccio di aziende e di ruoli per rendere ancora più complicati gli accertamenti da parte dei carabinieri. I cinque arrestati sono il titolare di un'azienda di smaltimento di Gualdo Tadino e di due sue dipendenti (ai domiciliari) formalmente titolari di altrettante aziende autorizzate al commercio di materiale elettrico elettronico (nello specifico i pannelli che da una parte risultavano smaltiti, dall'altra pronti per essere venduti). Arrestato anche un imprenditore di Casale sul Sile, in passato coinvolto anche nelle indagini sul sequestro Soffiantini, ed un cittadino marocchino residente a Crespano del Grappa.

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