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Cronaca Ponte di Piave

Giro di fatture false scoperto dalla Guardia di Finanza, c'è l'ombra della Camorra

Cinque indagati nell'opitergino tra cui Tommaso Pizzo, 53enne di Zero Branco, legale rappresentante della "Biorisorse" di Ponte di Piave: nel 2014 piazzò una finta valigetta-bomba in tribunale a Treviso per sventare l'asta della sua abitazione

Si allunga l'ombra della camorra su un giro di fatture venuto alla luce grazie ad una indagine della Guardia di Finanza e che  tra il 2015 e il 2017 si sarebbe aggirato nell’ordine di centinaia di migliaia di euro. Se a tessere le fila di tutto vi sarebbe stato infatti un noto commercialista di Oderzo, l'esecutore materiale della truffa all'Erario sarebbe invece un sospetto affiliato al clan dei Casalesi infiltratosi in provincia di Venezia e sgominato nel febbraio scorso da una operazione della Direzione Distrettuale Antimafia.

Si tratta di Tommaso Pizzo, 53enne di Zero Branco, legale rappresentante della Biorisorse di Ponte di Piave, società che in apparenza avrebbe dovuto occuparsi di commercializzazione di tecnologie per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ma che invece sarebbe stata la fabbrica delle fatture taroccate. Queste almeno sono le conclusioni a cui è arrivata la Procura della Repubblica di Treviso che nei giorni scorsi ha chiuso le indagini avviate nel 2017. Cinque le persone indagate a vario titolo per falsa fatturazione e utilizzo di false fatture per le quali si va verso la richiesta di rinvio a giudizio: oltre a Pizzo e al commercialista di Oderzo ci sono anche tre imprenditori trevigiani, titolari di aziende con sede a Mansuè, Oderzo e Motta.

Pizzo è attualmente in custodia cautelare in carcere dopo essere stato coinvolto nella maxi operazione dello scorso febbraio contro la cosca della Camorra attiva a Caorle e nel Veneziano. Il suo nome è collegato proprio a false fatturazioni che sarebbero state messe in atto a beneficio dei casalesi della venezia orientale. Il 53enne inoltre è il responsabile del falso allarme bomba al Tribunale di Treviso nel giugno 2014 quando, per fermare la vendita giudiziaria della sua casa aveva effettuato una chiamata anonima informando della presenza di un pacco esplosivo all’interno del Palazzo di Giustizia. Per questi fatti è stato condannato a 5 mesi di reclusione.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti gli imprenditori si facevano emettere falsi documenti di acquisto di beni e servizi dalla Biorisorse per far riemergere il nero. Grazie a queste operazioni riuscivano anche anche a detrarre costi e in cambio versavano a Pizzo l’importo dell’Iva più una sorta di remunerazione per il favore ricevuto. Secondo la Procura di Treviso il giro di fatture false potrebbe essere più vasto; ci sono infatti ulteriori filoni di indagine ancora in corso che riguardano altre aziende della Provincia di Treviso che, affidandosi allo stesso commercialista, avrebbero beneficiato della disponibilità dell’azienda di Tommaso Pizzo.

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