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Cronaca

Profughi, lettera dei vescovi: "Non facciamo come Caino"

Monsignor Gianfranco Agostino Gardin e Corrado Pizziolo scrivono un lungo messaggio sull'accoglienza pubblicato da La vita del popolo e L'Azione

TREVISO “Come comunità cristiane non dobbiamo rinunciare a fare la nostra parte, per quello che possiamo, senza rifugiarci dietro la vastità del fenomeno e la sua infelice gestione “a livello alto”. Abbiamo cercato strutture, mezzi, persone; invitiamo al dialogo, alla ricerca comune di soluzioni, alla solidarietà”. È uno dei passaggi di una lettera scritta dai vescovi di Treviso e Vittorio Veneto, monsignor Gianfranco Agostino Gardin e Corrado Pizziolo, indirizzata “ai cristiani e agli uomini e donne di buona volontà delle loro diocesi” e pubblicata nei settimanali “La Vita del popolo” e “L’Azione” con un chiaro messaggio sull’accoglienza dei migranti.

Nel territorio, si legge nella lettera, “a livello di responsabili regionali e comunali si mescolano, alla oggettiva difficoltà di far fronte a richieste improvvisate di accoglienza, alcune componenti ideologiche; queste sembrano impedire di cogliere la dimensione drammatica di tante situazioni umane”. Allo stato attuale nella provincia di Treviso sono presenti circa 900 migranti, arrivati sia nel 2014 che nel 2015.  “Che cosa viene chiesto a noi cristiani? – continua la lettera -. La nostra terra, che si connota nell’opinione comune come regione dal cattolicesimo ben radicato, viene dipinta in questi giorni come terra di inospitalità, di durezza, di egoismo. Vorremmo proprio che non fosse così. Una certa integrazione con molti immigrati fa ormai parte della nostra storia recente” scrivono i vescovi, ringraziando chi si prodiga per l’accoglienza.

“Sentiamo emergere più che mai l’interrogativo su che cosa significa, in queste precise circostanze, essere cristiani. Lo siamo davvero? Lo siamo oggi di fronte a questi “scarti” dell’umanità? Lo siamo nella maniera che ci è richiesta dal Vangelo o secondo un cristianesimo accomodante che ci siamo rimodellati sulle nostre ideologie o sulle nostre chiusure? Forse questo è il momento di verificare se abbiamo “il coraggio del Vangelo”, se l’essere discepoli di Gesù è un’esperienza che solo ci sfiora o che realmente ci penetra” spiegano i Vescovi, che si dicono “sconcertati di fronte alla deformazione di un cristianesimo professato a gran voce, e magari “difeso” con decisione nelle sue tradizioni e nei suoi simboli, ma svuotato dell’attenzione ai poveri, agli ultimi: dunque svuotato del Vangelo, dunque svuotato di Cristo. I poveri, ci ripete papa Francesco, sono «la carne sofferente di Cristo»”.

“Non vogliamo credere che l’accoglienza e l’integrazione, per quanto impegnative, siano del tutto impossibili – scrivono ancora i due vescovi -. Esse chiedono però il coinvolgimento di tutti: istituzioni, amministrazioni locali, privato sociale, associazioni, e certamente anche le comunità cristiane. Vorremmo che si potessero perseguire scelte che nascano, nello stesso tempo, dall’intelligenza e dal cuore; vorremmo che si mettesse in atto una progettualità che preveda una accoglienza diffusa nel territorio. Del resto le nostre diocesi, attraverso la Caritas ed in collaborazione con altre realtà del privato sociale, stanno sperimentando questo modello, il quale sta offrendo buoni risultati e mostra una sua efficacia. E se proprio ci ritroviamo a constatare la precarietà delle nostre risposte a questa drammatica emergenza, non rifugiamoci nell’indifferenza, non rispondiamo come Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?” (Genesi 4,9). Almeno lasciamo spazio alla tristezza per non riuscire a fare quanto vorremmo, almeno solidarizziamo con l’amarezza di chi sperimenta il rifiuto di essere accolto, almeno piangiamo. Nell’omelia della Messa di Lampedusa, papa Francesco ha chiesto cinque volte: «Chi di noi ha pianto»?”. E concludono: “Il Signore ci renda “credenti credibili”, uomini e donne di solidarietà di pace, costruttori di un’umanità nuova”.

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