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Cinema

"Apocalisse nel deserto" chiude la rassegna cinematografica della Fondazione Benetton

Ultimo appuntamento per la fortunata serie di pellicole proiettate nella fondazione trevigiana. Durante la serata di mercoledì 4 aprile si terrà la speciale proiezione del film di Herzog

TREVISO La rassegna cinematografica Paesaggi che cambiano, organizzata dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche, si conclude mercoledì 4 aprile alle ore 21, nell’auditorium degli spazi Bomben di Treviso, con il film Apocalisse nel deserto di Werner Herzog.

Un’altra pellicola che, come le precedenti quattro proposte in questo ciclo dedicato al tema Natura filmata, natura cinematografica, non si limita a mostrare elementi della natura, ma li associa tra i protagonisti dei film. Il titolo originale di questa sinfonia visiva è “Lezioni di oscurità”, ed è la voce di Werner Herzog che ce le impartisce, a partire dalla scritta iniziale, dedica e sigillo delle immagini che verranno: «La caduta degli universi siderali si compirà – come la Creazione – con imponente bellezza». Subito dopo la prima guerra del Golfo, originata dall’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein, tra il 1991 e il 1992 Herzog percorre per due volte il deserto che fu campo di battaglia e ne filma, con una troupe minima, le condizioni di desolazione, apocalittiche, appunto: il petrolio che è stato la causa scatenante del conflitto continua a marchiare il paesaggio, dai laghi neri che occupano gli avvallamenti della sabbia alle fiamme che arrivano fino al cielo. Le sequenze del documentario, tra le quali spicca l’impresa degli specialisti che spengono i pozzi incendiati da Saddam, si trasformano così nei trailer dell’apocalisse prossima ventura…

Racconta il curatore della rassegna, Luciano Morbiato: «la citazione di Pascal che apre Apocalisse nel deserto è in realtà di Werner Herzog, che aggiunge, con compiaciuta ironia: «Pascal stesso non si sarebbe potuto esprimere meglio». Con una punta di civetteria, Herzog vuol forse dire che sarebbe difficile distinguere, tra queste pensées, quali sono gli originali pascaliani: «Il silenzio eterno degli spazi infiniti mi sgomenta»; «La caduta degli universi siderali si compirà – come la Creazione – con imponente bellezza». «Quando considero il piccolo spazio che riempio nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che mi ignorano, io mi sgomento». Herzog stava parlando (alla Milanesiana nel 2007) del sublime, una categoria che dal Settecento “intriga” intellettuali e artisti, anche se ormai soltanto dal punto vista storico, ma per Herzog si trattava di una enunciazione che sintetizza il suo accostarsi alla realtà con la macchina da presa nel corso di oltre quarant’anni (cinquanta, nel 2018!): dalla Creazione e dall’Età dell’oro in Fata Morgana (1970) al delirio del conquistador Lope de Aguirre alla ricerca di El Dorado (1972), dai segreti del vetro rubino in Cuore di vetro (1976) ai tragici protagonisti di Woyzeck e Nosferatu (1979), alla melomanìa di Fitzcarraldo (1982) e, appunto, all’apocalisse che si fa realtà effettuale, da documentare, nel deserto del Kuwait, invaso da Saddam Hussein.

La coscienza di Herzog di fronte a quella realtà sconvolgente non si limitò al dovere della documentazione, della testimonianza, come dichiarò nell’intervista rilasciata a Grazia Paganelli nel 2007: «Quando arrivai laggiù, capii subito che vi era qualcosa di più profondo che doveva essere filmato, non fosse altro per la memoria della razza umana ... Lei però usa le immagini per inventare nuove storie, diverse dalla realtà di quella situazione. Si, perché l’irreale si stava imponendo con forza sul materiale stesso, sulla struttura del film, sulla narrazione. Non dipendeva dalla mia capacità di immaginare le situazioni, erano le immagini stesse che pretendevano una struttura adeguata, che emerse quasi da sola. Questo era uno dei motivi per cui mi fu molto facile dare forma al film in un tempo così breve. Un altro elemento molto importante era rappresentato dalla musica. Anch’essa fu scelta con grande facilità, la selezione fu breve, due, tre tentativi al massimo... Da dove deriva il testo di commento? In parte lo scrissi io, in parte lo trassi dal libro dell’Apocalisse. Il testo è breve e lo misi insieme mentre montavo; scrivevo guardando le immagini».  Negli incendi dei pozzi di petrolio (una tragica nemesi delle immagini ancora idilliache di Louisiana Story di Flaherty, in cui il derrick si muoveva in silenzio tra le paludi, senza disturbare né il procione né l’alligatore), Saddam Hussein aveva individuato il diluvio di fuoco che doveva fermare i nemici e che finì invece per rappresentare la pira funebre del suo regime. Allo stesso tempo le squadre dei tecnici, pompieri e artificieri, perdevano qualsiasi segno di riconoscimento per tornare ai ruoli archetipici di cavalieri che affrontano un drago dalle molte lingue di fuoco. 

Una lettura delle immagini per simboli non è tuttavia una forzatura, poiché lo stesso Herzog aspira con tutta la sua opera a un livello più profondo di verità, «una verità poetica, estatica, appena afferrabile poiché misteriosa e ostica, e tale da poter essere raggiunta solo attraverso l’immaginazione, la stilizzazione e la creazione». E, ancora una volta, egli torna alle sequenze girate nel deserto in fiamme, commentate dai versetti dell’Apocalisse di Giovanni, con la colonna sonora di Wagner, Verdi, Mahler...: «In relazione ai pozzi di petrolio in fiamme in Kuwait dopo la prima guerra contro l’Iraq, i mass media, e in particolare mi riferisco qui alla televisione, non sono stati in grado di mostrare qualcosa che, oltre a rappresentare un crimine di guerra, era un avvenimento di dimensioni cosmiche, un crimine contro la Creazione stessa. Il nostro pianeta non è riconoscibile in nessuna delle inquadrature di Apocalisse nel deserto e per questo motivo il film è considerato un prodotto di fantascienza, come se fosse stato possibile girarlo solamente in un distante universo siderale, nemico della vita. 
In occasione della prima del film in Germania, al Festival di Berlino, esso venne sommerso da un’orgiastica ondata di odio; tra le grida infuriate del pubblico fui in grado di distinguere l’espressione “estetizzazione del grigio” e, dopo essere riuscito a raggiungere il podio tra minacce e sputi, nel mio imbarazzo riuscii a pensare solo a una banale provocazione: Cretini– dissi, – ha fatto la stessa cosa Dante nel suo Inferno, e anche Goya e Hieronymus Bosch. Tuttavia, nel bisogno avevo in ogni caso chiamato in causa alcuni dei santi protettori che, senza che io ci avessi pensato, ci hanno fatto conoscere qualcosa di assoluto, di sublime».

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