Una lunga domenica di passioni di Jean-Pierre Jeunet
TREVISO Con il film Una lunga domenica di passioni di Jean-Pierre Jeunet (Francia, 2004, 132’) si conclude, mercoledì 15 aprile alle ore 20.30, la rassegna cinematografica“Paesaggi che cambiano”, proposta dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche negli spazi Bomben di Treviso e dedicata al tema Cinema al fronte: sui luoghi della Grande Guerra. La rassegna, che anche quest’anno ha riscontrato una nutrita partecipazione e un vivo interesse da parte del pubblico, è stata organizzata nell’ambito di un articolato programma di iniziative e ricerche pensato dalla Fondazione sul tema della Prima guerra mondiale nel contesto delle celebrazioni per il centenario.
I cineoperatori inglesi di The Battle of the Somme hanno documentato l’eccezionale spiegamento di uomini e mezzi che ha permesso di ottenere il risultato di un milione di morti in pochi giorni, mentre questo film di fantasia parte dalle singole e concrete vicende di cinque soldati francesi all’interno dell’immane carnaio. Per coinvolgere maggiormente lo spettatore la prima parte del film non risparmia sui particolari più efferati che emergono a fatica dal buio e dal fango, come l’uccisione a sangue freddo e l’automutilazione, per concentrarsi quindi sull’esecuzione di cinque poilus (“pelosi”, come uomini villosi e coraggiosi, erano chiamati i fanti francesi della grande guerra), condannati dalla corte marziale per aver tentato di farsi congedare in questo modo e abbandonati sotto il tiro incrociato nella terra di nessuno tra le trincee francesi e tedesche. La giovane Mathilde, fidanzata del pescatore bretone Manech, uno dei cinque, non crede alla notizia della morte in combattimento che le è stata comunicata e, nonostante sia zoppa per i postumi della polio, a guerra finita intraprende una ricerca incessante dal campo di battaglia agli archivi militari, con l’aiuto di un detective, che la porterà a ricostruire la verità attraverso incontri e clamorose rivelazioni.
Il film è tratto dal romanzo dello stesso titolo di Sébastien Japrisot, scrittore còrso, collaudato autore di romanzi polizieschi, che ha applicato in questo caso la formula dell’inchiesta investigativa al tema della guerra, a dimostrazione che esso non è più un tabù in quanto sacro, ma che è divenuto materia di spettacolo. L’inchiesta di Mathilde alla ricerca di Manech si incrocia con la vendetta di Tina Lombardi, che sta eliminando sistematicamente i responsabili della condanna del suo fidanzato Bassignano (una storia che rievoca la costante del romanzo d’appendice ottocentesco e ammicca a più recenti film: La sposa in nero di Truffaut e Kill Bill di Tarantino). Le peripezie e le agnizioni si susseguono, permettendo al racconto di aggiungere alla vicenda principale quelle dei condannati o dei parenti, ma anche di illuminare particolari sulla guerra e sul dopoguerra, frutto di una accanita documentazione dello scrittore e del regista.
Jeunet, dopo il suo esordio, Delicatessen, ha mostrato di prediligere storie complicate, rocambolesche, dove il potere, assunto essenzialmente come sopraffazione e apparentemente invincibile, è costretto a capitolare di fronte alla determinazione e alla fantasia del singolo per quanto debole, meglio se alleato con altri (in L’esplosivo piano di Bazil). La struttura labirintica, le situazioni parallele e le varianti di personaggi e luoghi del romanzo di Japrisot hanno stimolato il regista a intraprendere un’avventura produttiva, resa possibile soltanto dopo il successo di Amélie (e con capitali che faranno navigare il film sotto le bandiere franco-hollywoodiane della Warner).
Tipica di Jeunet rimane la fascinazione per il mondo degli oggetti “vecchi” più che antichi, di un passato di inizio XX secolo, nel quale circolano i racconti favolosi e gli strumenti del lavoro non sono ancora desueti, anche se vengono da molto lontano, come molti dei congegni dei suoi film che presuppongono un meccanismo di molle e rotelle e ingranaggi (come in Hugo Cabret di Scorsese) e un artigiano che li assembli e li faccia funzionare.
Nell’incrociarsi dei piani e dei tempi del racconto, la guerra sta al centro, ma una diversa cifra rievocativa è sistematicamente utilizzata per rappresentare l’atrocità della guerra e la dolcezza della vita prima della guerra, a Parigi come in Bretagna o in Corsica, contrapponendo l’inferno, con la pioggia e il fango e l’oscurità delle trincee della Somme, all’eden della campagna in fiore e della spiaggia assolata (con forse qualche tramonto di troppo nella levigatissima fotografia a colori o seppiata di Delbonnel).
Certo, il grande spettacolo è assicurato, l’idillio amoroso è spesso convincente ma lo è molto di più l’epica terribile della guerra, o piuttosto la sua quotidianità, alla quale Jeunet ha voluto aggiungere la pena di chi rimane e non si rassegna.