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Sabato, 20 Aprile 2024

Aborto, un diritto da tutelare: Cgil difende la Legge 194

La Cgil trevigiana ha avviato in questi giorni un'importante campagna informativa a difesa della legge sull'aborto

La legge 194, che nel 1978 ha introdotto in Italia la possibilità di ricorrere legalmente all’interruzione volontaria di gravidanza, ha compiuto quarant’anni. Confermata nel 1981 dal voto referendario, ha affermato il diritto all’aborto entro i primi tre mesi di gestazione, legittimando l’autodeterminazione delle donne e della libertà di scegliere per sé e la propria salute.

Una conquista faticosa sulla quale oggi incombe la minaccia di un pericolosissimo ritorno al passato, fatto di oscurantismo, illegalità e negazione che la Cgil trevigiana vuole contrastare apertamente. Manifestazioni e interventi pubblici più che discutibili, insulti social e operazioni pubblicitarie violente, comparse anche a Treviso, si sommano alla cronica carenza di personale medico e sanitario non obiettore di coscienza. In questo quadro l’Ulss 2 non fa eccezione: mentre gli interventi di Ivg sono diminuiti di 1 su 7 in due anni (passando da 971 nel 2015 a 921 nel 2016 fino a 833 nel 2017), il numero di ginecologi che si appellano all’obiezione di coscienza continua ad essere molto elevato, il 77,9% sul totale nel 2017, con i casi eclatanti dell’Ospedale di Treviso e di Castelfranco dove questa percentuale è rispettivamente dell’85,7% (18 su 21) e del 90% (9 su 10). E se il trend è questo anche per le altre figure coinvolte, appare chiaro come in provincia di Treviso la situazione sia anche più critica che a livello regionale, con il Veneto che peraltro è secondo solo al Trentino Alto Adige per numero di medici antiabortisti. La conseguenza è un clima ostile sia nei confronti delle donne, sia di quei pochi professionisti che invece garantiscono l’accesso all'interruzione volontaria di gravidanza. Non accade di rado che siano entrambi additati per le loro scelte e che le donne siano spinte ad andare in strutture distanti da casa o, peggio ancora, come avveniva prima del 1978 quando l’aborto era considerato un reato penale, siano costrette a rivolgersi a canali sommersi e clandestini, senza alcuna tutela sanitaria. Da quando, poi, i punti d’ascolto e informazione negli ospedali e nei consultori sono affidati ai volontari antiabortisti - nell’Ulss 2 è stata addirittura firmata una convenzione -, la situazione si è fatta ancora più pesante. La legge 194, lungi dal considerare l’aborto alla stregua di un metodo contraccettivo, prevedeva già percorsi di prevenzione, educazione sessuale e preparazione alla genitorialità spesso rimasti però sulla carta. Certo è che i tagli alla sanità pubblica non possono giustificare di affidare tale compito a chi condanna per principio la facoltà delle donne di decidere se diventare madri o meno. Il manifesto del movimento ProVita che per settimane ha stazionato in viale della Repubblica a Treviso ne è la dimostrazione. La campagna choc, con la gigantografia di un feto e slogan che incolpano la donna, veicola un messaggio sbagliato e inammissibile: marchiare come omicidio e sottoporre al giudizio ciò che, come riconosciuto anche dalla legge, è insindacabile scelta personale. Non basta, allora, l’ennesima richiesta alle aziende ospedaliere del Veneto perché si aprano tavoli di confronto e monitoraggio sull’effettiva applicazione della 194. Guidata dai coordinamenti Donne Cgil e Donne Spi, la Cgil trevigiana va oltre e lancia una campagna di informazione e sensibilizzazione per ricacciare con forza, intelligenza e sensibilità il tentativo di far regredire i diritti delle donne e per ribadire, ancora una volta, la centralità della libertà di scelta e di una maternità consapevole, che lo Stato è chiamato a garantire senza alcuna condanna.

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