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Da diacono a sacerdote a soli 27 anni: la prima messa nel paese dov'è nato

Don Luca Soldan, originario di Cavalier, sarà ordinato sacerdote nel pomeriggio di sabato 15 giugno. Il suo percorso di fede preso a modello dalla diocesi di Vittorio Veneto

Sabato 15 giugno, alle 15.30, in Cattedrale a Vittorio Veneto, sarà ordinato sacerdote don Luca Soldan, consacrato diacono lo scorso anno nella chiesa parrocchiale di Trichiana. Luca Soldan, ventisettenne originario della parrocchia di Cavalier, è entrato nella Comunità vocazionale di Castello Roganzuolo dopo le scuole superiori e poi nella comunità teologica del Seminario diocesano di Vittorio Veneto. Attualmente è in servizio pastorale nella parrocchia del Duomo di Sacile. Don Luca celebrerà la prima Santa Messa nella chiesa parrocchiale di Cavalier domenica 16 giugno alle ore 10 e nel Duomo di Sacile domenica 23 giugno alle ore 11.

Per una diocesi come quella di Vittorio Veneto, piuttosto piccola, il fatto si configura come un vero e proprio evento. «Certo - commenta don Alessio Magoga - un’ordinazione sacerdotale è poca cosa rispetto alle esigenze delle comunità diocesane, ma in ogni caso è un dono prezioso e un piccolo miracolo. Un miracolo, sì, perché sui giovani di oggi l’immagine del prete, dobbiamo ammetterlo, non ha più l’appeal, il fascino, la forza attrattiva di un tempo. Il prete oggi si presenta come una “figura umile” - continua Magoga - la cui autorevolezza deve essere ogni volta “riconquistata” sul campo, perché non è più un dato di fatto, garantito dalla tradizione e da una certa religiosità devozionale, a volte solida e vissuta virtuosamente. Ora il prete deve dimostrare il suo valore in chiesa, in oratorio, nelle relazioni con le persone, con quello che dice, con quello che fa, soprattutto con quello che è. Non c’è più spazio per le “finte” e non esiste più la “forza d’inerzia” della tradizione che giustifica e dà significato, quasi da sola, ad un ruolo, ad una missione, ad una vocazione. Certo, un po’ dispiace: per chi era abituato al rispetto e alla riverenza di un tempo, riservati al “sior Piovàn”, i tempi attuali sembrano una iattura. Insieme al potere – e questo è decisamente un bene – è andata persa anche una certa “aura” spirituale e poetica che “proteggeva” l’uomo di Dio, lo staccava dal resto del popolo e gli conferiva una identità assolutamente definita. Oggi non è più così. Il prete è in mezzo alla gente, senza filtri e senza barriere, così come lo sono le altre persone. Con o senza veste, il risultato è lo stesso: il prete è sul “campo di battaglia” della vita, come tutti gli altri, e come in ogni campo di battaglia a volte si vince e a volte si perde. Proprio come tutti. Il tempo in cui viviamo consegna il prete alla sua umanità, insieme fragile e preziosa: una consegna totale, senza sconti. Da questo punto di vista, il nostro è senza dubbio un tempo di grazia, difficile e scarnificante, ma anche bello e affascinante perché umanissimo».

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