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Venerdì, 29 Marzo 2024
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«Parrucchieri aperti dalle 7 alle 22, festivi inclusi, per tutta l'estate»

La proposta della Cna ai Comuni trevigiani per favorire la ripresa del settore. Panazzolo: «Va inoltre rivista la normativa che oggi equipara il Covid-19 a un infortunio»

«Possibilità, per chi vuole, di estensione dell’orario di lavoro dalle 7 alle 22 e di tener aperta l’attività anche nei giorni festivi, purché ciò avvenga per un periodo di tempo limitato, che potrà concludersi con la fine dell’estate ovvero non appena saranno ritirate le misure per il distanziamento sociale».

È la nuova proposta arrivata in queste ore da Cna Estetiste e Cna Acconciatori in vista della ormai imminente, riapertura: Cna infatti sta facendo pressione anche sul Governo affinché la ripartenza per queste categorie di attività possa essere anticipata al 18 maggio invece che al 1º giugno, nel pieno e rispetto del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 24 aprile scorso e dei codici di autoregolamentazione delle categorie. Una misura eccezionale, dunque, quella avanzata dalla Cna, che chiede ai Comuni trevigiani di studiare una soluzione che sia omogenea per tutta la provincia di Treviso in modo che non ci sia la possibilità di concorrenza sleale tra attività operanti in Comuni diversi, magari contermini. «È un’opportunità che in questo momento va data a queste categorie di artigiani che non lavorano da oltre due mesi, ma anche ai cittadini che hanno ormai urgente bisogno di avvalersi del loro servizio – afferma Mattia Panazzolo, vicedirettore di Cna territoriale di Treviso - È importante però che ci siano regole uguale per tutti, su tutta la provincia e meglio ancora su tutta la Regione Veneto. Perciò auspichiamo un coordinamento tra i Comuni e abbiamo già avanzato alla loro rappresentanza, l’Associazione dei Comuni della Marca Trevigiana, la nostra proposta. L’estensione dell’apertura dovrà necessariamente prolungarsi per un periodo limitato di tempo, soltanto fino a che che dureranno le indicazioni di distanziamento sociale».

A partire dal 12 marzo, il settore “servizi alla persona”, di cui fanno parte parrucchieri, barbieri, estetisti, tatuatori, massaggiatori, è stato soggetto a provvedimento di sospensione delle attività. In provincia di Treviso questi mestieri contano 2.833 imprese artigiane attive. Secondo le ultime stime Cna, i minori ricavi, calcolati sul periodo 12 marzo-31 maggio, ammonterebbero a circa 43 milioni di euro. La proposta di Cna di estensione dell’orario di lavoro e di giornate lavorative per un periodo limitato va dunque nella direzione di aiutare la ripartenza del settore, tenuto conto che si ipotizza che le misure obbligatorie connesse alla riapertura (prenotazioni, no compresenza, sanificazioneetc.) limiteranno all’80% il normale afflusso della clientela. «Gli operatori del settore benessere, così come quelli del commercio al dettaglio, hanno già dimostrato come sia possibile una riapertura antecedente al 1º giugno in piena sicurezza tramite l'adozione di protocolli di sicurezza e codici di autoregolamentazione ben definiti – continua Mattia Panazzolo – entro il 18 maggio vanno fatti riaprire. Non dobbiamo scegliere tra lavoro e salute. Le due cose ora devono andare di pari passo». La Cna di Treviso torna poi sulla richiesta di una revisione della normativa che oggi equipara il Covid-19 a un infortunio: «È indispensabile introdurre una misura legislativa che escluda la responsabilità degli imprenditori nel caso un dipendente contragga il Coronavirus – sottolinea Panazzolo - Lo prevede la direttiva europea del 12 giugno 1989 che consente agli Stati di escludere la responsabilità dei datori di lavoro per atti dovuti a circostanze estranee, anormali, imprevedibili, eccezionali, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante tutta la diligenza possibile». Il rischio, per la Cna, è che le attività economiche non possano riprendere serenamente, lasciando artigiani e imprenditori nello stato di incertezza giuridica creato dal riconoscimento del contagio come infortunio sul lavoro anche per ambienti di lavoro non sanitari in base all’articolo 42 del Dl 18/20 Cura Italia. «Nessuno, infatti, può essere chiamato – aggiunge Panazzolo - a rispondere di un rischio generico di salute del quale non può controllare la fonte. Gli imprenditori già fanno e faranno di tutto per limitare il contagio, ma il quadro giuridico è inadatto, purtroppo, alla pandemia».

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