Trent'anni fa l'omicidio di Sandra Casagrande, ancora senza colpevole
La donna, 42enne, venne pugnalata 22 volte la notte del 29 gennaio del 1991 all'interno della sua pasticceria a Roncade. Di quel delitto non si è mai travato il responsabile
Sono 30 anni da quando Sandra Casagrande venne assassinata a Roncade, la notte del 29 gennaio del 1991 all'interno del suo negozio di pasticceria, al caffetteria "Due Torri". Morì straziata da 22 pugnalate, inferte in parte con un coltello da cucina ma anche con una forbice. Un delitto vecchio di tre decenni che è rimasto senza un responsabile.
Quello della pasticcera di 42anni rimase un fatto eclatante della cronaca nera della Marca Trevigiana perché mai risolto, a dispetto delle decine di tracce e testimonianze raccolte. Nel 2009 l’allora procuratore di Treviso, Antonio Fojadelli, ritrovò negli archivi un reperto dal quale poter estrarre un Dna da confrontare con quello di alcuni sospettati, mai indagati, di allora. Le troupe di «Chi l’ha visto?» tornarono due volte in paese, cercarono un ex maresciallo, diventato famoso per essersi chiuso in casa, quella notte, senza rispondere neanche ai suoi superiori che si chiedevano dove fosse finito il comandante dei carabinieri di Roncade. Ma tutte le carte tornarono in poche settimane agli scaffali del Tribunale da dove erano state prese.
In realtà vi fu una persona che fu indagata e che, oltre gli abiti della pasticcera bruciati pochi mesi dopo il delitto, dall’elenco dei reperti mancano ora anche le banconote intrise del sangue del killer. Era Leopoldo Giannetti, noto a Roncade come “il Pedro”, un cliente di Sandra che andava da lei tutte le settimane a comprare le paste per il figlio che viveva in paese con la madre, dalla quale era separato. Su di lui, si scopre decenni di distanza e dopo la sua morte, si erano concentrate di più le attenzioni degli inquirenti, che avevano individuato nove sospettati proprio tra gli amici e i clienti della pasticcera.
Ma gli abiti che Sandra indossava quando fu uccisa, che potevano rappresentare una prova, furono mandati all’inceneritore. Grazie alle moderne tecnologie avrebbero potuto svelare l'identikit dell'assassino e invece furono bruciati con una motivazione che ha dell’incredibile: «Emanavano un cattivo odore».
L'archiviazione arriva nel 2011. La Procura scrive al gip che «hanno dato esito negativo gli ulteriori accertamenti dattiloscopici che si sono potuti effettuare ormai solamente sui negativi e sulle fotografie riproducenti le tracce digitali impresse nel sangue di cui erano intrise le tre banconote da 10mila lire associate all’evento delittuoso». Nel fascicolo del pm ci sono foto e negativi, ma dove sono le banconote? Un giallo nel giallo.