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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Coronavirus e la settimana Santa: «Gli abissi della morte sono stati visitati da Cristo»

Il vescovo di Treviso, Monsignor Michele Tomasi, ha presieduto in cattedrale la tradizione Messa nella domenica delle palme

«Prima ancora che alle nostre domande, la croce mostra e realizza la risposta di Dio al nostro bisogno di vita: la croce non è un simbolo, utile per spiegare sofferenze di per sé inesplicabili. Non abbiamo bisogno di Gesù per spiegare ciò che succede o per esprimere la nostra ribellione di fronte alle sofferenze del mondo. La croce apre un cammino di vita per un popolo, per la comunità di coloro che guardano al Signore crocifisso a partire dalla propria esperienza e in lui scoprono Dio e il suo amore». Il vescovo Michele ha sottolineato così il significato della croce, al centro di questa domenica della Passione del Signore, inizio della Settimana santa, quando si ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, la sua passione e la morte sulla croce. Lo ha fatto questa mattina, in una celebrazione eucaristica a porte chiuse, in cattedrale, presenti pochi sacerdoti, che hanno concelebrato con lui (il vicario generale, mons. Adriano Cevolotto; il vicario per la pastorale, mons. Mario Salviato; il penitenziere della Cattedrale, Monsignor Arduino Beltrame; il parroco e il vicario parrocchiale della Cattedrale, mons. Giorgio Riccoboni e don Filippo Basso, insieme al diacono Gianni Donadi), e la piccola famiglia con la quale il vescovo Michele celebra l’Eucaristia da quando è iniziato il periodo di restrizioni a causa della pandemia. Una celebrazione sobria e intensa, pur senza il rito della processione delle palme, come prevedono le norme stabilite dalla Chiesa per questo tempo.

Un mistero, quello della Passione di Cristo, nel quale converge tutta la sua vita, che quasi “non ha bisogno di un commento, non serve una predica. Il mistero va soltanto contemplato” ha sottolineato il Vescovo, che ha proclamato l’intero racconto della Passione secondo Matteo insieme ai due vicari. Non poteva mancare, nella breve omelia di mons. Tomasi, un riferimento alla drammatica situazione che stiamo vivendo. Dopo il grido di Gesù sulla croce, Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?: «Gridare a lui ora è possibile anche a ciascuno di noi, perché Gesù ha vissuto ogni prova, ogni abbandono e lo ha portato con sé, per così dire, nella vita stessa di Dio. ‘Fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi’: così proclameremo fra poco nel Credo: davvero discese agli inferi, nelle molte esperienze di male e di morte di uomini e donne di ogni tempo, anche del nostro tempo, anche prima, al di là, persino oltre il dramma della pandemia. Gli abissi dell’abbandono e del male sono stati visitati da Gesù, e in essi il suo grido esprime ancora una volta l’affidarsi al Padre: egli grida “Dio mio, Dio mio” proprio perché il Padre continua ad essere il suo Dio. La croce di Cristo costituisce un popolo che non chiede nemmeno la spiegazione delle inesplicabili sofferenze, proprio perché ha scoperto che di fronte alle tragedie della vita c’è bisogno di amore, non di spiegazioni. Il nostro compito, un compito che la croce rende possibile e al quale essa ci interpella, è essere presenti gli uni agli altri quando scopriamo che da soli non possiamo fare nulla per salvarci, ma che nell’amore ci salveremo tutti. Qui in terra, e per la vita eterna».

L'Omelia del Vescovo

Nella Passione di Cristo converge tutta la sua vita: il suo insegnamento, la chiamata dei discepoli, la prima comunità dei cristiani attorno a Gesù, tutto culmina in questo racconto. Vi troviamo la fedeltà di Dio, le emozioni profonde di Gesù, la sua comunione con i discepoli e la debolezza di questi ultimi, il rinnegamento di Pietro e il tradimento di Giuda, gli interessi dei capi del popolo e le loro accuse, la politica e le leggi dei romani, il giudizio. Il mistero stesso della storia dell’umanità ci è stato esposto, presentato, e costituisce fino ad oggi lo specchio delle nostre fatiche, delle nostre infedeltà, della nostra mancanza di coraggio. A questo punto, non abbiamo bisogno di un commento, non serve una predica. Il mistero va soltanto contemplato. Voglio soltanto ascoltare di nuovo con voi la parola di Gesù sulla croce che il Vangelo di Matteo ci consegna: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” È l’inizio del Salmo 22, è la grande, antica preghiera di chi si trova nel dolore e nella prova, che Gesù trova nelle Scritture e fa sua, portando così persino l’esperienza del silenzio di Dio all’interno della sua stessa relazione con Dio Padre. Gridare a lui ora è possibile anche a ciascuno di noi, perché Gesù ha vissuto ogni prova, ogni abbandono e lo ha portato con sé, per così dire, nella vita stessa di Dio. “Fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi”: così proclameremo fra poco nel credo: davvero discese agli inferi, nelle molte esperienze di male e di morte di uomini e donne di ogni tempo, anche del nostro tempo, anche prima, al di là, persino oltre il dramma della pandemia. Gli abissi dell’abbandono e del male sono stati visitati da Gesù, e in essi il suo grido esprime ancora una volta l’affidarsi al Padre: egli grida “Dio mio, Dio mio” proprio perché il Padre continua ad essere il suo Dio. Prima ancora che alle nostre domande, la croce mostra e realizza la risposta di Dio al nostro bisogno di vita: la croce non è un simbolo, utile per spiegare sofferenze di per sé inesplicabili. Non abbiamo bisogno di Gesù per spiegare ciò che succede o per esprimere la nostra ribellione di fronte alle sofferenze del mondo. La croce apre un cammino di vita per un popolo, per la comunità di coloro che guardano al Signore crocifisso a partire dalla propria esperienza e in lui scoprono Dio e il suo amore. La croce di Cristo costituisce un popolo che non chiede nemmeno la spiegazione delle inesplicabili sofferenze, proprio perché ha scoperto che di fronte alle tragedie della vita c’è bisogno di amore, non di spiegazioni. Il nostro compito, un compito che la croce rende possibile e al quale essa ci interpella, è essere presenti gli uni agli altri quando scopriamo che da soli non possiamo fare nulla per salvarci, ma che nell’amore ci salveremo tutti. Qui in terra, e per la vita eterna.

+ Michele Tomasi

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