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Venerdì, 19 Aprile 2024
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"Voglio donare un miliardo di euro entro il 2020": ecco l'idea di un giovane trevigiano

Il progetto denominato "Ofree" si basa sul giocare ai videogames. Ora però c'è bisogno di mettere a punto il prototipo ed ecco quindi la call per sviluppatori e programmatori

PAESE Esatto, avete letto bene: un miliardo di euro. "Potrà sembrare un’assurdità, eppure io sono fermamente convinto che sia possibile farlo. Mi basta solo trovare uno o più programmatori che siano disposti ad aiutarmi nella realizzazione dell’applicazione. Mi sono da poco laureato in Economia e gestione delle aziende all’Università Ca’ Foscari di Venezia e, seppure ho sempre fatto qualche lavoretto in questi anni per non dipendere strettamente dai miei genitori, non posso permettermi di pagare una persona per sviluppare la piattaforma. L’unica cosa che posso offrirgli, e forse vale anche più dei soldi, è una quota della futura società che si verrà a costruire e la possibilità di entrare a far parte di una squadra di persone che vogliono rivoluzionare il mondo delle donazioni al non profit".

A dirlo è il giovane neolaureato trevigiano Nicolò Santin. "Sono alla ricerca di persone che siano fortemente motivate come me ad apportare un reale cambiamento nel mondo. Persone che non siano tanto focalizzate sul ritorno economico, ma piuttosto sui possibili benefici sociali della piattaforma, che ho deciso di chiamare Ofree. Ofree è difatti il progetto che ho presentato nella mia tesi di laurea magistrale e che mi ha permesso di laurearmi con il massimo dei voti, 110 e lode. Per aver conferma della validità di questa mia idea ho fatto numerosi approfondimenti, raccogliendo quasi 2500 questionari, intervistando 35 aziende profit e non profit e arrivando a scrivere quasi 700 pagine di tesi. Un record, credo".

Ma in cosa consiste esattamente Ofree? "Si tratta di un’applicazione contenente un catalogo di advergame che permette alle persone di donare alle organizzazioni non profit senza mettere mano al portafoglio - ci racconta Nicolò - In breve: le aziende, per poter caricare il loro advergame, e promuovere così il brand, devono versare un determinato ammontare di denaro, che corrisponde ad un tradizionale investimento pubblicitario. Questi soldi permettono ai singoli individui, dopo aver giocato ai vari advergame creati dalle aziende per promuovere i loro prodotti e servizi, di raccogliere delle monete virtuali e successivamente di destinarle alle organizzazioni non profit che preferiscono". Perché questo progetto dovrebbe funzionare però? "Solo qualche numero. In Italia, secondo gli ultimi dati AESVI, vi solo oltre 25 milioni di videogiocatori, ossia quasi un italiano su due, e il numero di gamers adulti è in costante crescita. Inoltre, 3 persone su 4 sarebbero disposte a donare di più alle organizzazioni non profit se avessero maggiori disponibilità economiche".

Per quanto riguarda le aziende, è infatti sempre più importante il tema della responsabilità sociale d’impresa, essendo sempre più una richiesta del consumatore, a tal punto che in Italia l’80% delle aziende investe in CSR (Fonte: Impegno sociale delle aziende in Italia, VII Rapporto di Indagine). "Inoltre, è sempre più difficile raggiungere il proprio pubblico dato che è bombardato ogni giorno da migliaia di diversi annunci pubblicitari. Se pensiamo al digitale, dal questionario della mia tesi di laurea è emerso che 9 persone su 10 cercano subito il tasto skip su YouTube non appena compare uno spot, e 6 su 10 non hanno mai cliccato in vita loro su un banner pubblicitario. Questo perché la pubblicità non sempre è capace di coinvolgere e interagire con l’individuo, creando una comunicazione a due vie" dichiara Santin.

"Per quanto concerne poi il non profit, le organizzazioni sono sempre alla ricerca di nuove soluzioni per raccogliere fondi. Se da un lato i giovani sono sempre più interessati a questa tematica, dall’altro secondo il rapporto 'Donatori in Italia: numeri e tendenze' elaborato nel 2016 da Gfk, solo il 10% delle persone che vanno dai 14 ai 34 anni sono dei donatori. Le ragioni sono la scarsa disponibilità economica e la mancanza di trasparenza. Si tratta dunque di una piattaforma win win win: i singoli individui possono giocare e al tempo stesso donare soldi senza mettere mano al portafoglio; le aziende possono promuovere il brand e dimostrare la propria CSR; le non profit possono fare fundraising ed entrare in contatto con nuovi potenziali donatori" chiosa lo studente trevigiano.

"Ormai, infatti, abbiamo sempre più il telefono in mano e la maggior parte delle volte lo utilizziamo per cose futili. I trend dimostrano che lo utilizzeremo sempre di più e sempre più per giocare - conclude Nicolò - Ecco perché voglio creare questa piattaforma, intercettando i bisogni delle persone e, al tempo stesso, quelli delle aziende e delle non profit. Ci tengo a precisare che la piattaforma è stata studiata in modo tale da evitare fenomeni di dipendenza dai videogiochi, dato che è possibile utilizzarla solo per un periodo limitato di tempo durante il giorno. Necessito, dunque, di uno o più sviluppatori da integrare nel team per raggiungere la mission di Ofree. L’idea è nata in Italia, e voglio che venga sviluppata dapprima qui e successivamente esportata in tutto il mondo. Di fondo, però, voglio dimostrare che anche qui in Italia si possono raggiungere traguardi inimmaginabili".

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