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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca Asolo

Enrico Vanzini, l'ultimo italiano vivente sopravvissuto a Dachau

Venerdì sera sala consiliare di Asolo gremita per ascoltarlo, in occasione del 25 Aprile e come momento conclusivo degli incontri “Informattiva” organizzati dall’Associazione “Asolo Reattiva” in collaborazione con il Comune

ASOLO Sala Consiliare gremita per ascoltare l’ultimo italiano vivente sopravissuto a Dachau., in occasione del 25 Aprile e come momento conclusivo degli incontri “Informattiva” organizzati dall’Associazione “Asolo Reattiva” in collaborazione con il Comune di Asolo. Sopravvissuto ai lavori forzati e a condizioni disumane nel campo di concentramento di Dachau dove persero la vita oltre 41mila persone. Costretto a lavorare nelle camere a gas e nei forni crematori del primo lager fatto costruire dal Reich nel marzo del 1933, dove rimase internato sette mesi, e per 15 giorni fu costretto dalle SS ad eliminare nei forni crematori i cadaveri dei suoi compagni.

Sono solo alcune drammatiche fasi del racconto di Enrico Vanzini, uno degli ultimi sopravvissuti al campo di concentramento nazista. Vanzini è l'ultimo italiano ancora vivente appartenente ai Sonderkommando: uno dei membri appunto delle squadre speciali composte dai deportati internati del lager incaricati di riempire di cadaveri i forni crematori, obbligati dalle SS a compiere le operazioni di rimozione dei corpi dalle camere a gas e di contribuire alle successive fasi di cremazione. Uno dei compiti più crudeli inferti sotto la costante minaccia armata delle Schutz-Staffeln.

“Pesavo 85 chili quando sono arrivato - rivela il testimone - quando il campo venne liberato dagli americani nel 1945 ne pesavo 22. In quel posto ho lasciato 63 chili di carne. Sono riuscito a venirne fuori per la voglia di ritornare e perché non ero ebreo - rivela - a Dachau ero il numero 123343: ho preso tante bastonate perché questo numero dovevo impararlo a memoria in tedesco. Il nostro nome non esisteva più: me l'hanno ridato gli americani quando sono entrati nel campo".

La scoperta del lucido e spietato meccanismo della Shoah. “È stata una scena agghiacciante, non sapevo dell’esistenza della camera a gas - racconta Vanzini nei suoi incontri - non sapevo cosa fosse una camera a gas: era lì, una cameretta oltre lo stanzone dei forni. Sono entrato in quell’inferno alle 5.30 del mattino. Dentro c’era un forte odore di gas, così le Ss ci hanno fatto indossare una mascherina da chirurgo per poter respirare. C’era un’atmosfera spettrale, con quattro lucine accese in alto sugli angoli del locale. Li abbiamo trovati abbracciati gli uni agli altri, avvinghiati così forte che non eravamo capaci di staccarli dalla stretta che li aveva uniti quando si erano sentiti morire. Erano ebrei, poveretti come noi. Sessanta uomini di ogni età, erano ancora attaccati, uno all’altro, era qualcosa che ti spaccava il cuore".

Per 15 giorni, così il prigioniero scoprì cosa c’era in quella casa fuori dalla quale era stato obbligato a trainare, insieme agli altri Sonderkommando, i carri pieni di cadaveri.

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