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Cronaca Castelfranco Veneto

Si uccide dopo un ricatto online: la presunta responsabile assolta in appello

Enza Iovinelli era stata condannata in abbreviato a 3 anni e quattro mesi insieme all'ex compagno Gennaro Di Bonito, entrambi 27enni e di Pozzuoli in provincia di Napoli, nel processo per la morte avvenuta nel 2014 di una 40enne di Castelfranco che non aveva retto alla vergogna di vedere pubblicata su Facebook un foto in intimo e i testi delle chat che si era scambiata con l'uomo. Per i giudici veneziani la giovane è però innocente. Sentenza riformata anche nei confronti di Di Bonito: 1 anno e 4 mesi, pena sospesa, grazie alla concessione delle generiche

La minaccia era stata mantenuta e così su Facebook era stata pubblicata quella sua foto in intimo e anche i contenuti testuali di alcune chat. La donna, una 40enne della castellana, non aveva resistito alla vergogna e si era uccisa. Per quel fatto, avvenuto nel 2014, due persone di Pozzuoli (Napoli), Gennaro Di Bonito e la ex compagna Enza Iovinelli, entrambi di 27 anni, erano stati condannati (in abbreviato) nel luglio dell'anno scorso a tre anni e e quattro mesi, con in più l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e una una provisionale immediatamente esecutiva di 20 mila euro. Ma la Corte d'Appello di di Venezia, lo scorso 20 maggio, ha riformato la sentenza emessa dal gup Angelo Mascolo, mandando assolta la donna (difesa dall'avvocato Luca Capriello di Napoli) per non avere commesso il fatto e riducendo la pena a Di Bonito a 1 anno e quattro mesi (pena sospesa) e 400 euro di multa, concedendogli le attenuanti generiche. I giudici lagunari hanno inoltre hanno revocato le statuizioni civili nei confronti della Iovinelli.

La storia prende avvio nell'autunno del 2014, quando su Facebook la quarantenne castellana viene contattata da un tale Fabio Schiavone, di 35 anni, titolare della fantomatica ditta di TechnolgyShop Italia di Milano. Lui, giovane aitante come mostravano le foto del suo profilo Facebook, che era però un falso, la aggancia con la scusa di venderle due cellulari. Ne nasce però una relazione virtuale: prima parole, poi  una confidenza che scende nell'intimo, fino a quando lei cede alle richieste di lui e gli gira via chat delle foto che la ritraggono in biancheria intima

A quel punto inizia il ricatto: «Dammi duemila euro oppure faccio vedere a tutti che genere di donna sei, spedisco la foto a tuo marito e a tutti i tuoi amici, testi della conversazione compresi». Lei inizialmente prende tempo e cerca di ricondurre il truffatore alla ragione ma Di Bonito, a inizio dicembre 2014, decide che è scaduto il tempo: quelle foto vengono riversate su Facebook, con tanto di post che descrive i suoi gusti sessuali. La donna, assalita dai sensi di colpa, si uccide. 

La vicenda era cominciata con una causa civile che il marito e i figli intentarono contro i due giovani. Poi nel 2017 la denuncia penale, in cui in una prima fase la Procura della Repubblica trevigiana aveva anche ipotizzato la morte in conseguenza di altro reato. Ma per il gup non esisteva un nesso diretto di causa ed effetto tra la pubblicazione e l'avvenuto suicidio e l'accusa cadde, lasciando i reati di tentata estorsione, diffamazione on line e sostituzione di persona.

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