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Cronaca Cavaso del Tomba

Plastic Connection, parla l'indagato trevigiano: «Io non traffico in rifiuti»

Michele Burli, il 51enne compagno di Laura Canova, 54 anni, amministratrice sotto inchiesta a piede libero della Resines srl, azienda di Cavaso del Tomba, è comparso stamattina, venerdì 24 settembre, di fronte al gip di Treviso Piera De Stefani per l'interrogatorio di garanzia per rogatoria con Venezia

Ha parlato Michele Burli, il 51enne compagno di Laura Canova, 54 anni, amministratrice indagata a piede libero, della Resines srl, azienda di Cavaso del Tomba, finita nella rete degli inquirenti nell'ambito dell'operazione "Plastic Connection". L'uomo è comparso stamattina, venerdì 24 settembre, assistito dai suo legali, gli avvocati Francesco Biadene e Otello Bigolin, di fronte al gip di Treviso Piera De Stefani per l'interrogatorio di garanzia per rogatoria con Venezia. E' infatti attualmente detenuto in custodia cautelare del carcere di Treviso e i suoi avvocati hanno chiesto la modifica della misura in arresti domiciliari. Il gip veneziano si è riservato la decisione.

Dietro all'inchiesta che coinvolge Burli c'è l'ombra  della criminalità organizzata, che avrebbe trovato lo sbocco a nord per i rifiuti speciali con cui traffica, una rotta alternativa per eludere la rete di controlli e inchieste che le iniziava a soffocarla in Campania. E ci guadagnavano pure i terminali dell'organizzazione messa in piedi: almeno due i milioni di euro occultati e trasferiti all'estero

Michele Burli, nel corso dell'interrogatorio, ha però respinto al mittente tutte le accuse. «Io non traffico in rifiuti - ha detto - ma compro e vendo materia prima seconda, tutto con regolare fattura. Parliamo di plastica  che viene utilizzata in varie lavorazioni, che essendo "mps" non ha bisogno di formulario. Peraltro tutte le "big bags" erano controllate attraverso un procedimento di carotaggio proprio per evitare eventuali contaminazioni».

La vasta indagine, che ha visto undici arresti, un dodicesimo uomo ai domiciliari,  una decina di indagati, tre ditte sequestrate, una quarta coinvolta ma lasciata in attività, beni, immobili e conti correnti per oltre un milione e mezzo di euro, avrebbe certificato finora, in un paio di anni, lo smaltimento illegale, concentrato in Veneto, di 22mila tonnellate di rifiuti speciali.

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