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Cronaca Colle Umberto

Rogo a Colle Umberto, assolto il figlio carabiniere delle vittime

Gianni Alpago, 49enne, e Tarcisio e Giovanni Dotti, questi ultimi due dei soci dell'immobilire costruttrice e proprietaria dell'abitazione, sono stati dichiarati non colpevoli per l'incendio scoppiato la mattina del 16 marzo del 2016 in cui rimasero uccisi l'81enne Emilio Alpago e la 74enne Antonietta Siracusa

Tutti assolti. Questo l'esito finale del processo per la morte di Emilio Alpago, 81 anni e della moglie Antonietta Siracusa di 74, deceduti il 16 marzo del 2016 nel rogo della loro casa di Colle Umberto. Sul banco degli imputati, accusati di omicidio colposo, c'erano il figlio della coppia, il carabiniere 49enne Gianni Alpago (difeso dall'avvocato Sabriao Dei Rossi) e due dei tre soci dell'immobiliare "Da Vinci" - proprietaria e costruttrice della casa - Tarcisio e Giovanni Dotta. Il terzo, Pietro Dotta, era uscito dal procedimento con un patteggiamento.

Alpago, per cui la Procura aveva chiesto l'assoluzione, era accusato di essere corso in garage e di essere uscito dal portoncino d’ingresso senza aver fatto nulla per avvertire i genitori del pericolo. Avendo aperto il basculante del garage e avendo lasciata aperta la porta sulle scale che conducevano all’appartamento, ha creato una corrente d’aria che ha alimentato le fiamme e il fumo che hanno provocato il soffocamento dei genitori. Ai soci dell’immobiliare, difesi dagli avvocati Barbara Camerin e Silvia Biscaro, la Procura contestava invece di non aver rispettato le normative installando tra l’appartamento e il garage una semplice porta di legno e non una porta tagliafuoco con anima in acciaio e chiusura automatica. Per loro la richiesta era stata quella a due anni di reclusione.

La sentenza (assoluzione perchè il fatto non costuisce reato per il carabiniere e per non avere commesso il fatto per i due Dotta) arriva dopo che il giudice Michele Vitale(a cui era succeduto Cristian Vettoruzzo) aveva disposto una perizia risolutiva, con lo scopo di ricostruire la dinamica della tragedia. Il 16 luglio scorso Riccardo Bonaventura, il consulente nominato dal Tribunale, aveva concluso che le fiamme dell'incendio, scoppiato alle 5 del mattino, sarebbero state contenute dall'assenza di aria dentro al locale, che presentava peraltro diverse difformità rispetto a quello che era il progetto sulla carta dei locali. Fu l'apertura del basculante a dare forza al fuoco, sprigionatosi per un problema al motorino di avviamento della Lancia Musa di Gianni Alpago, che la sera era arrivato in visita ai genitori dalla Val Pusteria dove prestava servizio. La porta, che risultò essere di legno e non di acciaio come prescritto dalle norme, fu originariamente aperta dal 47enne, sceso a verificare la situazione dopo la chiamata di un vicino che lo avvisava che era scoppiato un incendio, ma non venne richiusa, probabilmente bloccata da qualche cosa sul pavimento, costringendo il carabiniere ad aprire il basculante che dava sull'esterno.

Una prima indagine concluse che non vi fosse una correlazione di causa-effetto tra la mancanza della porta tagliafuoco e la tragedia e venne chiesta l'archiviazione per gli impresari e il progettista. Fu il carabiniere a tenere aperto il caso, indicando i soci dell'immobiliare come i responsabili di quello che era successo. Le successive conclusioni della Procura lo misero però nella curiosa situazione di essere imputato e allo stesso tempo parte civile, costituitasi nei confronti dei titolari della "Da Vinci", che, a suo dire, non avendo posizionato la chiusura anti-incendio, erano i colpevoli della morte dei genitori.

«Sono sollevato perché sono stato creduto, non potevo fare nulla, con la morte di mia mamma e mio papà non c'entravo nulla» è stato il commento di Alpago alla lettura della sentenza.

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