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Cronaca

"Maitresse" trevigiana condannata nel 2014, il processo di primo grado è però da rifare

Bruna Zandonà, 72enne tenutaria di un bordello in Via S. Agostino, salì agli onori delle cronache quando, nel 2010, venne smascherata da un servizio delle "Jene". Ma per la Corte d'Appello di Venezia sul procedimento a Treviso, conclusosi con una condanna a un anno e sei mesi per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, gravava un vizio di notifica

Era il 16 settembre del 2014 quando Bruna Zandonà, la "maitresse" di un centro di piacere a Treviso, venne condannata a un anno e sei mesi per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Ora però quel processo, che fece parlare e trenare la città e che prese il "là" dalla denuncia di una ragazza romena, che non sarebbe stata pagata come pattuito, e soprattutto da un clamoroso servizio andato in onda alla trasmissione Mediaset "Le Jene", è da rifare.

L'altro ieri la Corte d'Appello di Venezia, chiamata ad esprimersi dopo 8 anni il procedimento di primo grado, ha annullato la sentenza per un difetto di notifica. La Zandonà avrebbe infatti chiesto che gli atti le venissero recapitati all'indirizzo del suo difensore, l'avvocato Stefano Pietrobon, mentre  risulterebbe che voleva riceverli a casa. Tutto da rifare quindi (le carte infatti tornano al gup) uno dei processi più "chiaccherati" nel capoluogo e che vedeva al centro della vicenda l'odierna 72enne, tenutaria di uno dei più gettonati - si scoprirà - bordelli della città, che secondo la proprietaria era frequentato anche da persone "altolocate".

A dare il via all’inchiesta  era stato un servizio della trasmissione di Italia Uno nel quale una prostituta romena accusava la maitresse di averla sfruttata. Una ragazza della trasmissione, fingendosi aspirante prostituta, era poi riuscita ad ottenere un colloquio, durante il quale l'allora 64enne aveva spiegato alla giovane tutto su tariffe e guadagni - da 150 a 200 euro a prestazione divisi al 50% -  e sulle modalità. «Non si usa il preservativo perché qui sono abituati così e comunque i clienti sono selezionati» aveva detto, oltre ad aggiungere parole sulle regole da seguire, ad esempio niente droga o pratiche violente.

Bruna Zandonà non aveva mai nascosto di esercitare il “mestiere” da sempre ed su questo che si era basata la strategia difensiva, che aveva portato in aula le stesse ragazze che avevano lavorato per lei e che, una a una, erano sfilate sul banco dei testimoni per dire che "la Bruna" aveva offerto loro un aiuto senza pretendere nulla in cambio e che quel che le avevano dato lo avevano deciso loro, come in un patto tra soci. 

La vicenda aveva fatto tremare molti trevigiani, spaventati dall’idea che li potesse tradire facendo i loro nomi. Ma le generalità dei clienti, Bruna Zandonà, da vera “professionista”, non li ha  mai voluti rivelare, né durante gli interrogatori in sede d’indagine né durante il processo che la Corte d'Appello ora ha annullato.
 

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