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Cronaca Mogliano Veneto

Da quattro anni non vede il padre, l'odissea di una famiglia per riabbracciare un bambino

Il piccolo, che oggi ha otto anni, è stato portato in Polonia dalla madre, che è a processo a Venezia per sottrazione di minore. Pronto anche un ricorso alla Corte Europea di Diritti dell'Uomo. L'atto d'accusa della nonna: «Le autorità italiane non hanno fatto nulla per proteggere mio nipote»

Sono quattro anni che il piccolo Jacopo (il nome è di fantasia), un bambino di Mogliano Veneto, non vede il padre. Nel 2018 la mamma, una 45enne polacca con cui l'uomo aveva stretto una relazione poi naufragata, lo ha portato con sé nel paese d'origine. Senza documenti, compiendo il viaggio al limite della clandestinità con un autobus. Da allora è come scomparso dentro ad un buco nero. Nei confronti della donna si sta svolgendo a Venezia (la sentenza di primo grado è attesa il 23 ottobre prossimo) un processo per sottrazione di minore ma è improbabile che la situazione possa cambiare. Tanto che la nonna, una nota albergatrice moglianese, ha già preparato le carte per una istanza alla Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo contro le autorità italiane, che non avrebbero fatto nulla per proteggere il piccolo, che oggi ha otto anni, e soprattutto il suo diritto alla bigenitorialità.

L'incredibile vicenda inizia nel 2018 quando la madre, separata dal padre (un trevigiano) con cui non era sposata, decide di andarsene e lasciare l'Italia. Da allora sono stati spesi migliaia di euro in carte bollate e cause, in Italia e Polonia, per garantire al padre e alla sua famiglia la possibilità di tornare a vedere il bambino. «Ma è stato tutto inutile - spiega la nonna - i giudici polacchi, pur riconoscendo le nostre ragioni, hanno stabilito che per Jacopo sarebbe stato troppo traumatico tornare in Italia dopo che la madre lo aveva portato in Polonia».

«La cosa veramente assurda - spiega il legale della famiglia del piccolo, l'avvocato veneziana Tiziana Nordio – è che nel corso del processo non è mai stata fatta neppure una rogatoria per sapere dove fosse questa donna, in quale città vivesse, come si mantenesse e come sta il bambino, contrariamente da quello che è stato fatto dalle autorità polacche, che hanno sentito i miei clienti più di una volta. Il punto è che, sotto il profilo giudiziario, questo caso è stato considerato alla stregua di un "banale" litigio familiare. Ma non è così, qui si sta parlando di cose che sono molto più serie. Peraltro il giudizio di primo grado non rende la sentenza esecutiva dal momento che deve passare al vaglio di altri due gradi di giudizio. Sono comunque in contatto con un esperto di diritto internazionale per sapere se già a ottobre la pronuncia del tribunale veneziano potrebbe sortire qualche effetto. E mi batterò perché, in caso di condanna per sottrazione di minore,  non venga concessa la sospensione condizionale della pena».

Per ora il padre e i nonni di Jacopo avrebbero diritto a vederlo quattro volte all'anno, più una video chiamata ogni quindici giorni. «Sono pronta a mandare le carte alla corte dei diritti dell'uomo - torna a dire la nonna - questo menefreghismo da parte dell'Italia è inconcepibile. E, alla luce dei molti contatti che abbiamo avuto, tra cui anche con il governatore del Veneto Luca Zaia che ha scritto al ministero competente, non mi resta che andare a incatenarmi davanti al parlamento. A quel punto qualcuno dovrà ascoltare la voce di una famiglia che vuole solo poter riabbracciare il suo bambino».

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