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L'INTERVISTA / Oderzo

Meri Zorz dimessa dall'ospedale: «Esistevano due Giuseppe, uno buono e uno cattivo»

L'avvocato 50enne ha lasciato il reparto di ortopedia del nosocomio di Oderzo e ha così potuto riabbracciare la figlioletta di 8 anni che le ha dedicato un disegno "Alla mia supermamma". La civilista descrive l'agguato subito lunedì nel suo studio da parte di Giuseppe Silvestrini, infermiere di 53 anni. Non ancora fissati i funerali

«A Giuseppe vorrei dire che non ce l'ho con lui, mi dispiace davvero tanto». Nella tarda mattinata di oggi, mercoledì 26 aprile, a 48 ore dall'agguato di cui è rimasta vittima lunedì mattina, nel suo studio in via Dall'Ongaro, Meri Zorz ha potuto finalmente lasciare l'ospedale di Oderzo e fare ritorno a casa, riabbracciando la figlioletta di 8 anni che le ha dedicato un disegno in cui è raffigurata come un'eroina, con tanto di mantello, e la scritta "La mia super mamma". Civilista 50enne, è ancora molto scossa per l'aggressione subita dall'infermiere 53enne Giuseppe Silvestrini, un cliente a cui aveva deciso di rimettere il mandato che aveva ricevuto per gestire la complessa successione ereditaria di alcuni terreni agricoli. L'uomo, come noto, dopo aver ferito a coltellate la donna tra mano, braccia e spalle (sottoposta ad un intervento ad una mano), è scappato via, tornato a casa, a Basalghelle di Mansuè, e si è poi tolto la vita, impiccandosi con una corda acquistata appositamente a questo scopo. Che il suo fosse un piano premeditato sembra ormai quasi una certezza. Zorz, sinceramente dispiaciuta e provata per il gesto estremo del suo cliente, ha descritto il 53enne come una persona dai due volti, uno buono e uno cattivo, quanti erano peraltro i suoi profili Facebook (con espressioni del volto a tradire i due stati d'animo). Una sorta di "doctor Jekyll e mister Hyde", come nel romanzo di Stevenson. Meri Zorz ha ricevuto decine di messaggi di incoraggiamento e auguri e rincasando ha salutato il sindaco di Mansuè, Leonio Milan, che vive nello stesso complesso a Oderzo. Non è per ora stata fissata la data delle esequie di Giuseppe Silvestrini: è probabile che saranno fissati nella giornata di domani.

Il disegno dedicato dalla figlia a Meri

«Sono uscita ed è già bello questo, riassaporare l'aria e la luce del sole - ha spiegato Meri Zorz - l'ultima cosa che ricordo di lunedì è quando lui scappava, quando si è girato verso di me e io scendevo le scale: si è girato verso di me e forse non capiva, se n'è andato via e io sono andata a chiudere aiuto perché, contrariamente a quel che è stato scritto, io sono scesa dopo di lui. Ho bloccato lui, ho preso il coltello tra le mani e dopo, mi ha guardato e penso che abbia avuto un attimo di ravvedimento, mi ha guardato, si è girato ed è andato via. Io sono corsa giù, temevo di avere delle ferite ovunque, avevo paura che mi avesse preso qualche organo intero e mi sono detta "non mi trovano in ufficio, devo correre in piazza perché almeno li trovo aiuto". L'ultima cosa che ho visto è lui che si è girato e mi ha visto scendere le scale».

I due profili di Giuseppe Silvestrini, quello buono a sinistra e quello cattivo a destra

«Io non credo che la nostra sia stata una lite, non posso definirla una lite - continua la civilista - è stato il gesto di una persona in difficoltà e non c'era un particolare motivo: sì, avevo deciso di non seguirlo più e lui lo aveva capito. Probabilmente si è sentito per l'ennesima volta solo. Sinceramente nella sua testa ho provato a entrarci ma è come se ci fossero due persone dentro di lui, una persona adorabile, buonissima, dolcissima, religiosa. Era una persona strepitosamente buona e dall'altro lato c'era una persona, un'entità, c'era qualcosa di malvagio. Spesso glielo dicevo: ci sono due profili di Facebook di questo ragazzo, uno con uno sguardo disteso in montagna e uno cupo, tetro. Io vedevo lui come quello del primo profilo, dolce e gentile. Poi lunedì è comparso quell'altro Giuseppe, quello che non ho mai voluto vedere. Quei due profili sono un aspetto significativo, lui diceva che cercava di tornare a essere quel ragazzo spensierato in montagna».

A sua figlia ha spiegato cosa è successo? «Mia figlia cerco di tutelarla, a lei è stato detto un po' di quello che è successo cioè che c'è stata una lite con questo cliente e che ha creato un po' di disagio alla mamma perché ogni tanto tornavo a casa nervosa e le dicevo "è un cliente", niente di più - dice Meri -. Adesso chiaramente ho una mano fasciata e dei lividi in faccia, ho dovuto dirle che ho sferrato un pugno e che il pugno mi ha fatto male alla mano e poi lui aveva un portachiavi con un taglierino...certamente non userò mai il termine coltello con lei».

«Non si può non avere pena per una persona che comunque si è trovata in quel disagio, in quella situazione più grande di lui, lui era fragile, non riusciva da solo a gestire queste cose» aggiunge l'avvocato «si è sentito solo: come posso odiare una persona che non era capace di capire quello che stava facendo, secondo me. Questa doppia personalità che è subentrata...in quegli attimi non era lui. Io cercherò di ricordare Giuseppe come quel ragazzo in montagna. Anche quel giorno sembrava collaborativo, tranquillo...ma poi».

L'ospedale di Oderzo

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