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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Paese

Revocata la confisca dei beni del fratello del "re dei rom"

La decisione della Corte d'Appello di Venezia sull'istanza di nullità del provvedimento che era stata presentata la difensore di Ercole Hudorovic, consanguineo di Adriano

Revocata la confisca immobiliare a Ercole Hudorovic, uno dei più rispettati esponenti dell'omonimo clan rom e fratello di Adriano, che torna quindi in possesso del terreno di Quinto di cui la Procura di Treviso, nel 2016, aveva disposto il sequestro ai fini della confisca in favore dello Stato. Lo ha deciso la Corte d'Appello di Venezia lo scorso venerdì esprimendosi sull'istanza di nullità del provvedimento che era stata presentata la difensore di Ercole Hudorovic, l'avvocato Andrea Zambon. La confisca era stata chiesta dalla Procura trevigiana sull'assunto che i beni, tra cui anche il terreno a Quinto, fossero di origine illecita. Il provvedimento era stato motivato dal sostituto procuratore Mara De Donà con una lunga disamina della "storia criminale" degli Hudorovic e in particolare del fratello di Ercole, Adriano Hudorovic, ritenuto il vero titolare del diritto di proprietà del bene. La confisca era passata al vaglio del Tribunale di Treviso e di un primo appello in secondo grado. Ma non a quello della Corte di Cassazione che nel maggio scorso aveva di fatto rispedito alla Corte d'Appello le carte. La Suprema Corte aveva motivato la propria decisione sostenendo che non era stato evidenziato "alcun elemento motivazionale a supporto dell’asserita fittizietà di quella intestazione". Per gli Ermellini quindi, al contrario di quanto era stato deciso nei due precedenti giudizi sulla istanza della difesa, non vi era la prova che Hudorovic fosse solo un intestatario di comodo del bene immobile del fratello e che non potesse giustificare la sua provenienza con rimesse finanziarie lecite.

La scorsa settimana la la sezione Misure Prevenzione della Corte d'Appello, giudici  Francesco Florit, Gianluca Bordon e Enrico Schiavon, ha decretato la revoca della confisca e la restituzione del terreno smantellando di fatto le motivazioni della Procura. Nelle motivazioni si legge infatti che , non solo non vi sono elementi per valutare sussistenza una convivenza  dei due fratelli tale da far in effetti supporre che l'intestazione del terreno, su cui successivamente erano stati anche compiuti degli abusi edilizi, fosse fittizia. Ma ci sarebbe anche la prova del fatto che le risorse con cui il bene era stato acquistato fossero di provenienza lecita e non illecita. Per la Guardia di Finanza, che aveva svolto le indagini, Ercole Hudorovich, a cavallo tra gli anni '90 e l'inizio del 2000, non aveva un reddito sufficiente per l'operazione di compravendita, giudicando che non potevano ritenersi sufficienti i guadagni maturati nel periodo in cui, pur dietro le sbarre, l'uomo aveva continuato a lavorare  - riversando tutti gli introiti nel bilancio familiare - così come nello stesso arco di tempo avevano fatto anche i figli. Il Tribunale di Treviso e il primo giudizio in Appello avevano inoltre ritenuto ininfluente il particolare secondo cui Ercole Hudorovic aveva ottenuto la somma di 130 milioni di lire come "compensazione" da un'altra famiglia Rom a cui apparteneva l'uomo che avrebbe avuto una relazione con la moglie di Ercole Hudorovic. Quella vicenda finì peraltro nel sangue: Ercole uccise il "rivale" in amore e fu condannato per omicidio, scontando 16 anni in galera.

Ma in merito della decisione del "kris", il cosiddetto "tribunale dei Rom" che per il "ratto della donna" aveva stabilito il risarcimento, c'è un testimone che conferma il fatto e l'entità del denaro pagato a Ercole Hudorivic. Si tratta di un uomo estraneo alla comunità rom la cui attendibilità venne ridimensionata dal Tribunale di Treviso e nel primo giudizio d'appello ma che in questa seconda pronuncia dei giudici di seconda grado viene ritenuto affidabile in quanto "fa riferimento ad un fatto preciso" di cui si ritrova riscontro in atti della sentenza di condanna di Ercole Hudorovic per omicidio.

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