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Cronaca Pieve di Soligo

Spara all'amico durante una battuta di caccia, finisce a processo

Giulio Bisol, un 65enne di Pieve di Soligo, avrebbe colpito un compagno di "spedizione" accidentalmente vicino all'occhio. Poi, per insabbiare l'accaduto, avrebbe fatto in modo che l'uomo fosse visitato in un centro medico e non all'ospedale di Conegliano

Amici per la pelle, i migliori. Tante gite fatte insieme e ogni anno battute di caccia in compagnia, anche all'estero. Fino al quell'agosto del 2016 quando proprio in Croazia, durante una scampagnata con i fucili, una salva di pallini prende uno strano rimbalzo così che una parte centra uno dei due. Che, accompagnato il giorno stesso in ospedale a Conegliano decide di fare denuncia per lesioni colpose. Querela integrata due mesi dopo da una seconda per omissione di soccorso.  

E così Giulio Bisol, un 65enne di Pieve di Soligo, si è ritrovato a processo, con un decreto di citazione immediata. L'ex amico, Remo Ruffoni, un 60enne del coneglianese, lamenta infatti che la rosa di pallini gli ha rovinato la vita: uno infatti era rimasto incastrato nel bulbo oculare e, una volta estratto, gli avrebbe causato un glaucoma che gli provoca una eccessiva lacrimazione. Ma soprattutto, hs riferito in aule oggi, lunedi 22 marzo, in sede di apertura di dibattimento «non mi volevano portare all'ospedale per coprire quello che è successo». 

L'incidente di caccia è avvenuto il 13 agosto di quasi cinque anni fa. Con un gruppo di amici Bisol si reca in Croazia per una battuta alle quaglie. Trovata una radura adatta i compagni di caccia si posizionano in coppie a "pettine", lontani ciascuno una cinquantina di metri. Sono le 10,30 del mattino quando uno dei cani di Bisol punta e va alla rincorsa di un volatile. Il 65enne, non appena la bestiola si alza in volo, spara con il suo fucile da caccia ma una parte dei pallini rimbalza di alcune rocce. Più avanti si trova un coppia di cacciatori formata da Ruffoni e un amio , che è abbassata sull'erba e la "fortuna" vuole che alcuni pallini li raggiungano. Uno dei due viene centrato in maniera non grave ad una mano e alla gamba ma l'amico "fraterno" riceve alcuni pallini sul viso, uno particolarmente vicino all'occhio. «Non voglio andare in ospedale qui, i croati mi uccidono» sbotta il ferito. E così viene deciso di salire in macchina e riportarlo verso casa perchè possa essere assistito dai sanitari.

Ruffoni, secondo quanto riferito ai aula da alcuni testimoni, non ne avrebbe però voluto sapere di andare al pronto soccorso e così giunto praticamente a casa, a Conegliano, viene visto all'interno di uno studio medico in cui lavora in figlio di Giulio Bisol. La visita non lascia adito a dubbi riguardo la serietà della situazione e seppure contro voglia il 60enne viene portato all'ospedale, dove riceve le cure del caso. Al termine delle quali però presenta denuncia contro Bisol, accusato di lesioni colpose, e,due mesi dopo, ne presenta un'altra per omissione di soccorso.

«Mi hanno - dice Ruffoni - visitato nel centro medico del figlio, a Ponte della Priula, speravano di mettere tutto a tacere». E, a fine processo, si scaglia conto il figlio di Bisol, reo a suo dire di aver testimoniato il falso. La difesa, affidata all'avvocato Francesco Murgia, ha ricevuto incarico di procedere per questo fatto.

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