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Cronaca

Computer e stampanti, maxi frode da 662 milioni: anche due trevigiani tra gli indagati

Operazione della Guardia di Finanza di Ascoli. Le società coinvolte sono ben 78 tra cui due ditte della Marca che hanno usufriuto di fatture false rispettivamente per 11milioni e 600mila euro e 650mila euro

TREVISO Maxi frode per 662 milioni di euro portata alla luce dai finanzieri della Compagnia di Ascoli Piceno. I militari che hanno individuato una massa impositiva sottratta all’Erario pari a 396 milioni di euro di ricavi, 109 milioni di euro ai fini dell’I.R.A.P. (Imposta Regionale sulle Attività Produttive), 8,5 milioni di euro di costi indebitamente detratti, 1,5 milioni di euro di ritenute non operate e/o non versate, in aggiunta alle correlate violazioni all’I.V.A. per 147 milioni di euro. Le società coinvolte sono ben 78, di cui 2 qualificate quali “cartiere” ed altre 76 attive nei settori del commercio di prodotti di consumo informatici, dislocate in mezza Italia: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Due sono in provincia di Vicenza.

Grazie al collaudato sistema della “frode carosello”, che ha visto le società tutte “coprotagoniste”, attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, era stata tra l’altro fraudolentemente costituita una indebita provvista di crediti I.V.A. per 70 milioni di euro. La pericolosità del fenomeno, oltre all’immediato danno arrecato all’erario, riguarda anche la sleale concorrenza da parte delle imprese coinvolte nei confronti degli imprenditori onesti: praticare un prezzo più basso grazie alla frode consente infatti di attrarre maggiori clienti, come anche di ottenere risultati vantaggiosi a discapito delle imprese sane nell’aggiudicazione di appalti per forniture per la Pubblica Amministrazione.

La Guardia di Finanza di Ascoli Piceno, attraverso le indagini di polizia giudiziaria coordinate dalla Procura della Repubblica di Ascoli Piceno, ha denunciato 87 persone per:
- “Emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti” per 484 milioni di euro;
- “Occultamento e distruzione di documentazione contabile”;
- “Riciclaggio” per 690.000 euro;
- “Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita” per 861.000 euro;
- “Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di - 2 - prodotti industriali”;
- “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”;
- “Vendita di prodotti industriali con segni mendaci”;
- “Ricettazione”.

Un’indagine partita quindi dal territorio Piceno, su una partita di cartucce e toner che, oltre ad essere posta in vendita a prezzi concorrenziali, evidenziava differenze nei contenitori di plastica degli inchiostri, presto riconosciuti come contraffatti. Dall’esecuzione di due verifiche fiscali nei confronti di altrettante imprese locali, con meticolosi approfondimenti documentali e indagini finanziarie ed economico/patrimoniali, si è risaliti dapprima alle società che risultavano aver solo cartolarmente rifornito alle imprese ascolane le cartucce e i toner di una nota marca e, in una seconda fase, alle società di tutta la filiera dedita alla commercializzazione, nell’intero territorio nazionale, delle cartucce e dei toner contraffatti.



La complessa ricostruzione degli scambi commerciali con le società cartiere dislocate a Roma e Milano ha riguardato numerosi Paesi quali Germania, Olanda, Romania, Estonia, Danimarca, Austria, Regno Unito, Ungheria, Cipro, Svizzera, Lussemburgo e Slovenia. I prodotti, giunti in Italia dai citati Paesi, venivano poi spediti direttamente ai reali acquirenti nazionali, senza mai entrare nella effettiva e materiale disponibilità delle società cartiere. Queste ultime provvedevano solamente ad emettere le false fatture di vendita per “nazionalizzare” la merce, oggetto di importazione comunitaria, e creare il credito I.V.A. in capo agli effettivi acquirenti in base a simulate operazioni nazionali. Per rendere più difficoltosa l’individuazione delle partite irregolari, tra le ditte di copertura e quelle destinatarie erano state interposte altre imprese “filtro”, aventi il solo compito di documentare le movimentazioni dei prodotti: registravano le fatture di comodo, emettendo poi analoghe fatture di vendita (anch’esse false) a beneficio degli effettivi utilizzatori.

Indagati anche due imprenditori della Marca, un trevigiano che ha emesso 11 milioni e 600mila euro di fatture false e il titolare di un negozio di informatica in provincia che ha emesso fatture sempre fittizie per 560mila euro.

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