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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Bancarotte "seriali" per otto milioni, in nove finiscono processo

Fra gli imputati anche il commercialista Nicolò Corso e l'avvocato coneglianese Benedetta Collerone. Nell'udienza di oggi, giovedì 18 novembre, è stata affidata la nomina al consulente che trascriverà le intercettazioni che inchioderebbero gli imputati

Entravano nella società, la spolpavano di beni e risorse finanziarie e la facevano fallire. Una, due, sette volte, fino a intascarsi quasi otto milioni di euro. Oggi, giovedì 18 novembre,  si è tenuta la seconda udienza del processo a nove (sui 18 originariamente indagati dalla Procura di Treviso, alcuni dei quali sono usciti di scena grazie ai riti alternativi) accusati di aver fatto parte di una rete di persone, tra professionisti, imprenditori, ex bancari e altro che avrebbero spolpato alcune aziende. Il Tribunale ha disposto l'incarico tecnico di analizzare le intercettazioni telefoniche, da cui emergerebbero le responsabilità degli imputati. Si tratta dei commercialisti  Nicolò Corso e Mario Pietrangelo, dell’avvocato Benedetta Russo Collerone, dei due imprenditori di Conegliano Teresa Calamia e Vincenzo Zanato, e anche Giovanni Condorelli, Massimiliano Zingaropoli, Giovanni Dal Cin e Maria Carolina Braca (difesi tra gli altri dagli avvocati Stefano Arrigo, Carlo Broli Angelo Di Dio). 

Secondo i militari della guardia di Finanza, che effettuarono le indagini, gli imputati facevano parte di una struttura organizzata. Sette le aziende finite nel loro mirino, stando alle indagini: Inoxfim e Alufilm di Salgareda, Vetreria Veneta e Lafood Group di Conegliano, Power Srl e Giromel Autotrasporti di Pieve di Soligo, Of Interni Srl di Maserada (alcune parti civili con l’avvocato Lorenzo Zanella). Complessivamente sarebbero stati drenati oltre 7,7 milioni di euro con un meccanismo relativamente semplice: vicine al fallimento, le imprese diventavano preda dei nuovi soci, che intendevano fare cassa. Così Corso e gli altri  trovavano delle "teste di legno" disponibili a fare gli amministratori delegati (in particolare Zanato, un pensionato con problemi economici e la Braca, che faceva la donna delle pulizie presso alberghi) e sottraevano denaro con false fatture, oltre a mettere in campo contratti di affitto di ramo d'azienda fittizzi per gestire il magazzino. 

Sono serviti mesi di indagini alla guardia di Finanza: prima per capire che dietro una serie di fallimenti c'era qualcosa che non tornava, poi per rendersi conto che le modalità operative e i nomi che giravano attorno alle aziende erano sempre gli stessi.

Ad accendere le prime spie rosse è stato il tratto comune di imprese che non pagavano le imposte e poi trasferivano le proprie sedi dalla Marca all'estero, in particolare in Brasile e in Venezuela, con un passaggio intermedio a Roma per cercare di dare meno nell'occhio. Il puzzle è andato a posto, tessera dopo tessera, nome dopo nome.

Le accuse sono bancarotta fraudolenta, riciclaggio e appropriazione indebita in concorso. Non viene contestata l'associazione per delinquere perché il gruppo avrebbe lavorato in «assetto variabile».


 

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