rotate-mobile
Cronaca Roncade

Lavoratori ridotti in schiavitù, quattro arrestati per caporalato

Colpiti dai provvedimenti due pachistani e le rispettive compagne, una cittadina italiana e una spagnola, di un’azienda del settore agricolo, con sede legale a Treviso, che reclutava cittadini stranieri da impiegare come manodopera per lavorare presso aziende del territorio

Dalle prime ore del mattino è in corso un’operazione anti caporalato dei carabinieri di Treviso e Roncade, del nucleo ispettorato del lavoro,  e del Gruppo dei carabinieri Tutela del Lavoro di Venezia. I carabinieri, dopo mesi di indagine, coordinate dalla Procura di Treviso ed in particolare dal pm Anna Andreatta, hanno eseguito quattro misure cautelari in carcere nei confronti di altrettante persone, due uomini e due donne, responsabili a vario di titolo di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro in concorso, incendio aggravato e violenza privata tentata, ai danni di una decina di cittadini pakistani, alcuni di loro privi di permesso di soggiorno, utilizzati nella lavorazione dei campi e potatura vigne della provincia di Treviso.

Le vittime erano alloggiate in case diroccate in campagna, senza riscaldamento ed energia elettrica, svegliate alle prime ore della mattina, per evitare i controlli dei carabinieri e stipate all’interno di furgoni, per poi essere condotti senza patente nei vigneti dove prestavano la propria opera, anche il sabato e la domenica, sotto stretta sorveglianza, fino a tarda sera ed essere intimidite. Colpiti dai provvedimenti due pachistani e le rispettive compagne di un’azienda esercente nel settore agricolo, con sede legale a Treviso, che reclutava cittadini stranieri da impiegare come manodopera per lavorare presso aziende del territorio, in regime di sfruttamento. Due degli indagati sono stati rintracciati in provincia di Perugia dove si erano trasferiti.

1 e 4, 2 e 3

A finire in cella due coppie: K.D. pakistano di 32 anni, e C.G.S., spagnola di 32 anni, arrestati a Perugia, e A.J., pakistano di 31 anni e C.M., 50enne trevigiana. Sono tutti accusati di sfruttamento del lavoro in concorso commessi nei confronti di dieci cittadini pakistani, alcuni senza permesso di soggiorno, tra cui anche alcuni minorenni. A indurre la Procura ad accendere un faro su questa realtà è stato un episodio, avvenuto a febbraio nella zona di Roncade e che portò all'intervento i carabinieri di San Biagio di Callalta: una lite furibonda, avvenuta tra due cittadini pakistani, dovuta al mancato pagamento della retribuzione per una prestazione di potature di vigneti presso terzi nel territorio della provincia di Treviso.

L'indagine ha subito permesso ai militari di individuare un’azienda esercente nel settore agricolo, con sede legale a Treviso, che reclutava cittadini stranieri da impiegare come manodopera per lavorare presso aziende del territorio, in regime di sfruttamento. Gli accertamenti condotti dai Carabinieri attraverso complessi servizi di osservazione controllo e pedinamento, oltre che controlli ispettivi e acquisizione di informazioni testimoniali rese da numerosi lavoratori, permettevano di far emergere le condotte delinquenziali degli indagati, il titolare dell’azienda fornitrice di manodopera, cittadino pakistano, un suo connazionale, stretto collaboratore e le due rispettive fidanzate. Gli stessi, in concorso tra loro impiegavano i lavoratori, approfittando dello stato di bisogno e della situazione di vulnerabilità, omettendo di versare loro la prevista retribuzione e comunque palesemente difforme dai contratti collettivi regionali e nazionali, spesso limitandosi, alla sola corresponsione del denaro ritenuto necessario per l’acquisto di sigarette e di ricariche telefoniche; in altri casi ai lavoratori sfruttati che venivano alloggiati con sistemazioni di fortuna prive di riscaldamento ed energia elettrica, veniva trattenuta una cifra variabile dai 100 ai 200 euro, a seconda che gli venisse assegnato un posto per dormire a terra oppure su di un letto. Gli stessi, per evitare i controlli di polizia, venivano svegliati alle prime ore della mattina e stipati all’interno di furgoni, per poi essere condotti nei vigneti dove prestavano la propria opera, sotto stretta sorveglianza, fino a tarda sera e senza il rispetto di alcuna norma di sicurezza sui posti di lavoro tanto da risultare privi di qualsiasi dispositivo di protezione individuale.

Le indagini hanno fatto emergere, inoltre, come gli indagati fossero soliti ricorrere a minacce nei confronti dei lavoratori per costringerli a rimanere alle loro dipendenze: se in alcune circostanze la parziale retribuzione veniva utilizzata come larvata avvisaglia di non corrispondere quanto dovuto per le prestazioni già svolte, in altre veniva prospettato il ricorso alle forze dell’ordine che sarebbero state informate dello stato di clandestinità di alcuni di loro con il conseguente rimpatrio degli interessati e dei loro parenti. Nel corso dell’attività investigativa è emersa la pericolosità degli indagati, ed in particolare del soggetto pakistano titolare dell’azienda che impiegava in regime di sfruttamento i connazionali, poiché veniva accertato come questi, nel mese di febbraio, abbia dato alle fiamme l’autovettura di un suo concittadino che stava collaborando con i carabinieri quale interprete nel corso delle audizioni dei lavoratori tenute dai militari che stavano facendo luce sulle responsabilità degli arrestati in ordine al triste episodio di caporalato.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Lavoratori ridotti in schiavitù, quattro arrestati per caporalato

TrevisoToday è in caricamento