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Cronaca

Processo Veneto Banca, chiesti sei anni per Vincenzo Consoli

Lunga e dura requisitoria dei pubblici ministeri Massimo De Bortoli e Gabriella Cama nel procedimento contro l'ex amministratore dell'istituto di credito montebellunese. Domani la discussione delle parti civili

Sei anni di reclusione per i reati di falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza. Queste le richieste dei pubblici ministeri Massimo De Bortoli e Gabriella Cama oggi, giovedì 20 gennaio, al termine della loro requisitoria nel processo a Vincenzo Consoli, ex amministratore generale prima e direttore generale poi di Veneto Banca, l'istituto di credito che finì, nell'estate del 2017, in liquidazione amministrativa coatta.

«Signor presidente, signori giudici - ha esordito De Bortoli - non nascondo che è con una certa emozione che mi accingo a questa requisitoria che riguarda il primo processo della vicenda di Veneto Banca. E stato probabilmente il soggetto creditizio più importante del nostro territorio e io e la collega Cama ci siamo chiesti più volte se eravamo all'altezza delle indagini, se siamo stati in grado di fare un'istruttoria dibattimentale esaustiva e completa. La nostra speranza è di esserci riusciti, anche se tra mille difficoltà, perché nel frattempo abbiamo dovuto occuparci anche di altre attività. Questo non era un processo facile: ci siamo dovuto confrontare con una documentazione molto copiosa con reati che normalmente non vengono trattati, nozioni e concetti che non sono di facile comprensione. Personalmente non avevo sentito parlare, ad esempio, di patrimonio di vigilanza, abbiamo dovuto imparare queste cose. E mi rendo conto che non è facile neppure per i giudici».

De Bortoli ha quindi passato in rassegna la storia di Veneto Banca, soffermandosi sul ruolo di Consoli, dominus esclusivo di tutto quello che succedeva e molto determinato a difendere i suoi privilegi personali. Poi passa ai capi di imputazione. «Il patrimonio di vigilanza appare superiore a quello effettivo e indica sofferenze inferiori a quelle effettive - dice De Bortoli soffermandosi sul falso in prospetto - che erano invece importi che dovevano essere decurtati dal patrimonio di vigilanza. E' evidente la falsità delle informazioni, tanto che le sofferenze erano di 2 miliardi e 705 milioni, ma in realtà c'erano 667 milioni in più, che portavano a oltre 3,3 miliardi. Su questo le autorità di vigilanza vennero indotte ad una falsa percezione del portafoglio crediti e del livello di esposizione dei rischi della banca».

«A Consoli - prosegue il pm - non restano che due alternative: o rafforzare il patrimonio o fare l'integrazione con un'altra banca. La seconda venne bocciata e allora l'imputato sa che l'aumento di capitale è un'operazione decisiva e non può permettersi di fallire l'obiettivo perché Veneto Banca non avrebbe più avuto i requisiti patrimoniali per continuare l'attività. E' un'ultima spiaggia, ma anche molto rischiosa e per riuscire nell'intento non gli resta altro da fare che truccare le carte. Decide di esporre questi dati falsi alle autorità di vigilanza per indurle ad autorizzare un'operazione (l'aumento di capitale e la diffusione del documento informativo n.d.r.) che non sarebbe mai stata autorizzata se i dati fossero stati esposti in modo corretto. E poi avvia delle operazioni collaterali: utilizzo del fondo della banca, lettere di rendimento garantito, finanziamenti per acquisto azioni (le baciate), promesse di indennizzo, possibilità di liquidare commissioni ai grandi soci, non utilizzo dell'applicativo informatico Consob».

Sull'ostacolo alla vigilanza De Bortoli si limita ad osservare che «la Consob approva aumento di capitale grazie a informazioni di Bankitalia, fuorviata da però da Veneto Banca. E nella nota inviata il 29 agosto 2014, Consoli diceva a Consob che non c'erano finanziamenti per l'acquisto di azioni ma per altri fini e comunque in maniera molto marginale».

Alla fine non ci sono stati commenti da parte di Vincenzo Consoli. Si prosegue domani con la discussione delle parti civili.

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