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Traffico internazionale di droga, 17 arresti: perquisizioni anche nella Marca

Smantellata una banda che importava cocaina dal Sud America. Eseguiti provvedimenti restrittivi tra la provincia di Venezia e altre aree d'Italia, oltre che in Slovacchia. Connessioni con la 'ndrangheta. Il "capo" impartiva gli ordini dal carcere grazie alla moglie

VENEZIA Le manette sono scattate stamattina in Slovacchia e si sono strette ai polsi di Antonino Vadalà, imprenditore calabrese interessato anche dalle indagini sull'omicidio del giornalista Jan Kuciak (venne fermato assieme ad alcuni parenti, poi rilasciato). Stavolta le porte del carcere si sono aperte "davvero" per lui, con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, di riciclaggio e di autoriciclaggio. Nel mirino del Gico della guardia di finanza di Venezia è finita un'organizzazione legata alla 'Ndrangheta, in particolar modo a un clan con base ad Àfrico, in provincia di Reggio Calabria: 11 le persone interessate da ordinanza di custodia cautelare in carcere, 3 ai domiciliari e 3 sottoposte a obbligo di firma. In tutto 17 provvedimenti. Per due coinvolti è scattato anche il fermo.

Per la verità gli occhi degli inquirenti non si erano mai distolti dalla banda che, nel dicembre 2015, venne disarticolata al termine dell'operazione "Bigiotteria", che permise il sequestro di oltre 400 chili di cocaina: un agente della guardia di finanza sotto copertura riuscì a conquistare la fiducia del gruppo criminale attivo in Veneto scoperchiando un'attività di importazione di frutta esotica proveniente dall'Ecuador. Su navi e successivamente camion, oltre a manioca e altri prodotti, viaggiava anche la cocaina. Tantissima. Arrivava in Veneto (il blitz finale al tempo scattò in un capannone di Marcon) e da qui veniva distribuita in Lombardia, specie nel Milanese, in Slovenia e in Slovacchia. Vadalà secondo gli inquirenti si occupava di gestire i traffici esteri e di organizzare le coperture finanziarie del traffico.

Grazie a quella "retata" la banda venne disarticolata, ma le nuove indagini che hanno condotto agli arresti odierni avrebbero dimostrato che il "capo", Attilio Vittorio Violi, nonostante si trovasse recluso nel carcere di Venezia, aveva ricominciato a tessere le fila del sodalizio illegale: "Attraverso i colloqui con la moglie - è stato spiegato in conferenza stampa - forniva indicazioni ai suoi fedelissimi. Abbiamo anche intercettato un pizzino con il nome di una persona reclutata in carcere che avrebbe fatto al caso loro per rimettere in sesto l'organizzazione in Veneto". Il cognato di Violi, Giovanni Sculli, e il cugino, Rocco Scordo, sono stati arrestati proprio mentre stamattina si preparavano a incontrare Violi in carcere assieme a un terzo sodàle: "Erano partiti ieri sera dalla Calabria - ha dichiarato il colonnello Gianluca Campana, comandante del Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Venezia - questi viaggi li organizzavano una volta al mese. Dopo gli arresti del 2015 avevano deciso di allontanarsi dal Veneto e di tornare in Calabria, tenendo i rapporti a distanza con i loro mercati. Troppo rischioso rimanere qui".

Per questo motivo nel mirino sono finite possibili basi logistiche (e chi le gestiva per i calabresi) utili alla ricostituzione del traffico di cocaina. Si tratterebbe di capannoni e strutture situate a Dolo, Marcon, Marghera e Mestre, per restare nel Veneziano. All'alba sono scattate anche 33 perquisizioni in varie località italiane, compreso il Veneto. Tappa importante per le indagini fu un sequestro operato nell'estate scorsa nel Rodigino, dove vennero requisiti 400 grammi di cocaina: non una quantità troppo ingente, sufficiente però a dimostrare che il traffico illegale di importazione di frutta era ripreso.

"Ci sarebbe voluto del tempo per rodare di nuovo la macchina - ha sottolineato il comandante provinciale della guardia di finanza di Venezia, Giovanni Avitabile - siamo riusciti a stroncare la nuova organizzazione sul nascere". Un plauso per i risultati raggiunti è stato espresso dal procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi, secondo cui "è stato raggiunto un risultato molto importante, anche grazie alla collaborazione fornita dalle autorità slovacche e dall'EuroJust, l'organo europeo di coordinamento per quanto riguarda la giustizia penale". 
 

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