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Cronaca

Veneto Banca, le motivazioni della sentenza su Consoli: «Lui era l'istituto di credito»

Pubblicate le oltre 200 pagine con cui i giudici hanno condannato l'ex amministratore delegato a 4 anni di reclusione

«La complessità della banca non consente di dire che Consoli abbia agito da solo" ma la sua impersonificazione con l'istituto di credito rende "inverosimile la sua estraneità». E' scritto nelle oltre 200 pagine di motivazioni della sentenza con cui Vincenzo Consoli, prima ex amministratore delegato di Veneto Banca per poi passare al ruolo di direttore generale, è stato condannato, lo scorso 4 febbraio, a 4 anni di reclusione (oltre all'interdizione dai pubblici uffici per un periodo di 5 anni alla confisca di 221 milioni) per i reati di ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto in merito al crac della ex popolare di Montebelluna.

I giudici Umberto Donà, Alberto Fraccalvieri e Carlotta Brusegan spiegano che, nel corso del dibattimento, i testimoni hanno reso tutti «dichiarazioni coerenti, prive di esagerazioni o forzature, senza ragioni di astio o di risentimento personale e pregiudizi verso l'imputato». Per il collegio non è sufficiente invece la tesi sostenuta dall'ex presidente Flavio Trinca, cioè quella secondo cui Consoli sarebbe stato "colpito" per «esigenze di sistema, perché si opponeva alla fusione con la Popolare di Vicenza».

Sul punto i giudici non usano mezzo parole, definendo la tesi "puramente congetturale". Sulla parole dell'ex presidente e sulla sua credibilità va «steso un velo pietoso». «Si tratta - argomentano - di un soggetto originariamente indagato nel presente procedimento che, pur di sottrarsi alle proprie responsabilità, ha dato, anche a dibattimento, un'immagine indecorosa di sé stesso, avendo limitato la propria quasi ventennale e lautamente retribuita esperienza alla presidenza dell'istituto di credito alla presenza in ufficio per poche ore ore al giorno, per leggere il giornale e prendere il caffè».

La banca, alla fine del 2013, non era più in grado di operare. «Alla quarta trimestrale del 2013 - si legge - il patrimonio di vigilanza era sovrastimato di tra i 748 e i 226 milioni, con margini operativi minimi...ma l'imputato ha sottoscritto false attestazioni relative alla coerenza dei dati esposti nelle informative e segnalazioni rispetto alla risultanze contabili, nonché in merito all'adeguatezza degli strumenti e delle modalità di loro rilevazione e controllo interno all'istituto». Il tutto sarebbe scaturito in dati che sono "difformi rispetto alla reale condizione economica, finanziaria e patrimoniale"

Sul falso in prospetto i giudici affermano che «dal dibattimento emerge la riconducibilità a Consoli dell'intero sistema organizzativo e di gestione dell'istituto di credito». Nel prospetto informativo del 2014 non sono state riportate «informazioni sul capitale finanziato» né si è dato «conto delle ricadute del fenomeno delle baciate e dei crediti deteriorati sulla situazione economico finanziaria della banca e sulle liquidità delle azioni medesime».

Consoli avrebbe insomma «intenzionalmente perseguito l'obiettivo di assicurare il successo dell'operazione di aumento di capitale alterando agli occhi del pubblico la reale capacità patrimoniale di Veneto Banca, in danno degli investitori che, sulla base delle false informazioni contenute nel prospetto informativo, hanno fatto affidamento sulla sua solidità».

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