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Cronaca

Fallimento Campana, a processo per bancarotta la vecchia proprietà

Sul banco degli accusati sono finiti Tommaso, Francesco e Giovanni Ferrarese. L'accusa è quella di distrazione. La società portò i libri in tribunale nel 2012, con un passivo di oltre un milione e seicento mila euro

Era stata uno dei simboli della trevigianità; poi nel 2008 le difficoltà dei negozi situati all'interno del centro storico provocò il tracollo, fino a quando, nel 2012, i libri societari furono portati in tribunale, con un passivo accertato di oltre un milione e seicento mila euro. Ma per la Procura di Treviso il fallimento della Campana s.a.s, la società che gestiva la storica attività che ha sede nei pressi della Pescheria, poteva essere evitato se i soci fossero intervenuti quattro anni prima, nel 2008. Invece si concentrarono su vari tentativi di salvataggio, con il solo risultato però di aggravare il dissesto. Non solo: per i magistrati vi sarebbero elementi che proverebbero la bancarotta per distrazione, oltre al fatto che le scritture contabili sarebbero state tenute in maniera tale da rendere pressoché impossibile la ricostruzione dell'effettivo stato patrimoniale, creando dei pregiudizi ai creditori.

Così è finita a processo una delle famiglie più vista della città, quella dei Ferrarese: Tommaso, 52 anni, il fratello Francesco di 50 anni, che rilevarono l'azienda, e il padre Giovanni, 83enne, tutti residenti a Treviso. Secondo l'accusa tra il 2009 e il 2010 Tommaso e Francesco Ferrarese avrebbero effettuato una serie di prelievi bancomat dai conti della società e per ragioni personali, pari a oltre 253 mila euro, denaro mai più recuperato. Inoltre avrebbero affittato il ramo d'azienda alla Gft, società fallita qualche anno più tardi e facente riferimento a Tommaso Ferrarese, compensando i debiti e i crediti con materiale vario di magazzino per oltre 1 milione di euro.

Il curatore ha però spiegato in aula, nell'udienza di oggi 8 luglio,  che la società era impegnata in un "lifting", una pulizia dei debiti che le avrebbe permesso di ottenere delle nuove linee di credito e che la Gft ha utlizzato buona parte della liquidità per pagare i dipendenti, che non si sono insinunati nel passivo del fallimento.

A Giovanni Ferrarese si imputa inoltre il fatto di aver ricevuto somme di denaro, relative a crediti derivanti da cause vinte contro istituti di credito per anatocismo, a una cifra di molto inferiore al loro valore. I tre Ferrarese a processo sono difesi dall'avvocato Jacopo Stefani, sicuro di poter dimostrare l'innocenza dei suoi assistiti.

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