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Cronaca

False fatture e "soffiate" su verifiche tributarie, ex capitano della GdF condannato

Quattro anni e sei mesi la condanna nei coinfronti di Giovanni Grassi, 61enne di origine napoletana ma residente a Treviso, già ufficiale della Guardia di Finanza di Vicenza. assolto invece Michelangelo Agrusti, neo presidente di Confindustria Alto Adriatico e per anni alla guida di Unindustria Pordenone

«Nessuno mi restituirà 10 anni di sofferenze». Sono queste le prime parole con cui Michelangelo Agrusti, neo presidente di Confindustria Alto Adriatico e per anni alla guida di Unindustria Pordenone, ha commentato la sentenza con cui i giudici del Tribunale di Treviso lo hanno assolto ieri, perché il fatto non sussiste, dall'accusa di falso in bilancio, bancarotta e aggravamento del dissesto finanziario nel processo Onda bis, relativo alla società di telecomunicazioni che aveva contribuito a fondare nei primi anni Duemila.

 Assoluzione anche per Giorgio Costacurta, vicentino 72enne, mentre per gli altri 8 imputati sono arrivate delle sentenze di colpevolezza: Giovanni Grassi, 61enne di origine napoletana ma residente a Treviso, ex capitano del Nucleo di Polizia Tributaria di Vicenza, è stato condannato a 4 anni e 6 mesi; la sorella, Matilde Grassi, 60enne, condannata a 6 mesi, il vicentino Bernardo Capparotto, 72 anni, della Gold Planet srl, condannato a 2 anni e 8 mesi, il napoletano Gennaro Borriello, 52 anni, per il solo accesso abusivo a sistema informatico, condannato a sei mesi, il trevigiano Andrea Pavanetto, 43 anni della vicentina Clipp, accusato con Borriello di corruzione e accesso abusivo in sistema informatico, condannato a sei mesi, Franco Zorzi, 66 anni, della Zorzi spa di Quinto di Treviso, condannato a 1 anno. Dino Roberti, 48 anni, e Barbara Basset, 43 anni, dell’Autofficina Km sas di Povegliano, hanno ricevuto 1 anno e 2 mesi mentre Alessandro Bregolato, 56 anni, di Quinto Vicentino, rappresentante della Saiv spa, imputato di corruzione e falsa fatturazione, è stato condannato a 1 anno.

L’inchiesta era partita a Vicenza dalle intercettazioni nei confronti di Capparotto, indagato per frode fiscale. Gli inquirenti, che peraltro erano i colleghi di Grassi, avevano rilevato i contatti frequenti tra l’orafo e il finanziere e quindi avevano messo anche quest’ultimo sotto ascolto. Da lì avrebbero avuto le prove dei contatti tra Grassi e coloro che gli chiedevano i favori per avere informazioni su altre persone o società oppure sulle verifiche fiscali nei propri confronti. Si era così arrivati a chi  pagava per il servizio di "soffiate" con un sistema collaudato: costringere (e qui sta l’induzione indebita) il carrozziere di Povegliano Dino Ruberti e la sua collaboratrice Barbara Basset a emettere una decina di fatture false per complessivi 20mila euro nei confronti dei beneficiari delle visure, che venivano poi girati in nero a Grassi. Per questo i tre sono anche accusati di emissione di fatture per operazioni inesistenti. In altre occasioni Grassi aveva ricevuto due treni di gomme per l’auto e un iPhone, oppure un iMac e varie cene in un rifugio di montagna, oppure materiale informatico.

«C'è grande soddisfazione che sia emersa con chiarezza che non ci furono mie responsabilità - ha commentato il neo presidente di Confindustria Alto Adriatico - la mia fortuna è stata quella di incrociare dei giudici saggi, un avvocato straordinario come Bruno Malattia e dei consulenti altrettanto impeccabili, che hanno confutato migliaia di pagine di atti. La verità, per quanto mi riguarda, è sempre parsa chiara  ma vederla riconosciuta è un'altra cosa». 

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