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Cronaca

Sparatoria a Santa Bona, per Branko Durdevic c'è l'aggravante della premeditazione

Nuovo interrogatorio davanti al gip del 36enne che lunedì 8 febbraio ha ferito mortalmente lo zio "Joco". Gli vengono contestati l'omicidio volontario e il tentato omicidio di un cognato della vittima. Ma lui si difende: «Ero armato perché temevo per la mia vita, è stata una disgrazia»

«Mi sono fatto dare la pistola perché mi erano già venuti a minacciare qualche giorno prima e temevo seriamente per la mia incolumità». Questo ha detto Branko Durdevic nelle due ore di interrogatorio, che si sono tenuta oggi, venerdì 26 marzo, in cui il gip di Treviso gli ha contestato i nuovi capi di imputazione: omicidio volontario, con l'aggravante della premeditazione, ai danni dello "zio" Domenico Durdevic e il tentato omicidio del cognato dalla vittima. «E' questo - ha spiegato rispondendo a lungo alle domande del giudice delle indagini preliminari - il motivo per cui ero armato ma io la pistola non la so usare. Ho sparato dei colpi di avvertimento quando mio zio e la persona che era con lui si sono fatti più minacciosi ma non volevo centrarli, è stata una disgrazia».

Alla base dei dissapori fra zio e nipote che hanno prtato ai fatti tragici dell'8 febbraio scorso vi sarebbe non solo la questione riguardante la nipote di Domenico Durdevic, che abita in Croazia con la madre, ma un vero ginepraio di beghe familiari. Branko infatti si è legato alla donna, mamma della bambina contesa, che era la moglie di Riccardo Durdevic, figlio del morto. E fra il presunto omicida e Riccardo, attualmente recluso a S. Bona, i rapporti erano particolarmente tesi per il fatto che il secondo aveva a sua volta avviato una relazione con la moglie di Branko quando questo era in galera. Un intreccio che, dato il contesto, era destinato a deflagrare.

«Le intimidazioni - ha spiegato il 36enne al gip - mi erano arrivate da mio zio, dai suoi familiari e anche da altre persone. Temevo seriamente per la mia vita. Così ho recuperato una pistola ma non l'ho mai usata prima del giorno della tragedia e non è vero che sono andato da Joco armato per intimidirlo. Se avessero saputo che avevo una pistola ed ero pronto a usarla perché mi avrebbero fatto visita armati solo di una bastone?». Intanto emerge che il colpo che ha prima ridotto in fin di vita e poi causato la morte di Domenico Durdevic è penetrato nella scatola cranica dall'alto, provocando poi le devastanti lesioni cerebrali all'altezza della nuca.
 

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