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Cronaca

Veneto Banca, disattese le indicazioni di Bankitalia sulla governance

Nel processo a Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato e direttore generale dell'istituto di credito, ha deposto Alberto Mitra, ispettore della Bce che "visitò" la banca nel 2015

Le indicazioni della Banca d'Italia, che a seguito delle ispezioni del 2013 chiese un "cambio di rotta" e un forte segno di discontinuità rispetta alla governance dell'istituto di credito, furono in larga parte disattese. Vi fu certo un cambio radicale nei membri del consiglio di amministrazione, con la nomina di un nuovo presidente, il professore emerito di economia dell'università di Padova Francesco Favotto, e del vice presidente Alessandro Vardanega, e i componenti del cda passarono da 15 a 11. Ma nei fatti Vincenzo Consoli, che si dimise da amministratore delegato e assunse il ruolo di Direttore Generale di Veneto Banca, rimase il punto di riferimento di un cda che sembrava piuttosto inattivo.

Alberto Mitra, che ricoprì il ruolo di ispettore della Banca Centrale Europea a Veneto Banca, ripercorre l'esito dell'ispezione della vigilanza europea che si svolse nel 2015. La sua è stata la deposizione chiave, oggi lunedì 21 giugno,  nel corso del processo che si tiene a Treviso e che vede  Consoli unico imputato per quanto riguarda i reati di ostacolo alla vigilanza, aggiotaggio e falso in prospetto.

«Il consiglio di amministrazione - ha spiegato Mitra - si trovava spesso ad affrontare degli ordini del giorno anche di 25 punti.  Non c'era un vero dibattito, del resto a Consoli aveva una grande capacità di convincimento, gli va riconosciuta una enorme  capacità se non altro per aver portato una piccola banca del territorio a diventare uno dei dieci istituti di credito più importanti in Italia».

Due i casi, secondo Martina, in cui le scelte di Consoli passarono senza una adeguata ponderazione. «Il primo - ha detto - fu la questione relativa prima alla famiglia Scalferlin e poi a Pietro D'Aguì, due dei maggiori azionisti della Bim, la banca intermobiliare di cui la ex popolare montebellunese assunse il controllo. Venne messa in atto una operazione che non fu detratta dal patrimonio di Vigilanza e che avvenne a "scavalco" delle migliaia di detentori di titoli, che percepivano il prezzo dell'azione, valutata dalla banca intorno ai 40 euro, eccessiva e che volevano vendere. A D'Aguì, in particolare, venne di fatto finanziata un'operazione che fu realizzata anche in spregio alle norme sul conflitto di interessi e che prevedette il non pagamento degli interessi su un linea di credito di quasi 36 milioni di euro».

«L'altra - ha spiegato l'ispettore della Banca centrale europea - fu l'acquisto di un portafogli di prestiti ipotecari vitalizi dagli americani di Jp Morgan per oltre 200 milioni di euro. Anche in questo caso non vi fu, da parte del consiglio di amministrazione, un vaglio sull'economicità dell'iniziativa. In cambio Jp Morgan si impegnava al comperare azioni di Veneto Banca. Ma l'obiettivo era chiaro: alla vigilia dell'aumento di capitale bisogna togliere pressione dal titolo, che molti risparmiatori volevano cedere".

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