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Cronaca

Contrae l'epatite C in ospedale, 50enne risarcito diciotto anni dopo

Un trevigiano si era sottoposto ad una infusione di immunoglobuline che venivano però da sangue infetto e aveva sviluppato la malattia del fegato. Il Ministero della Sanità si era sempre rifiutato di pagare sostenendo che le domanda era stata presentata fuori tempo utile

A quasi 18 anni da quella trasfusione infetta che gli ha cambiato la vita ha potuto finalmente mettere le mani sul risarcimento di 127 mila e 206 euro che gli spettavano ma che il Ministero della Sanità non aveva ancora pagato malgrado il titolo esecutivo. Fabio Capraro, avvocato del protagonista di questa penosa storia di malasanità, è dovuto infatti ricorrere al Tribunale Amministrativo Regionale, competente sulla questione, che alla fine, nei mesi scorsi, ha nominato un commissario ad acta per la liquidazione, a cui si somma un indennizzo mensile di 817 euro e il rimborso delle spese.

La vicenda riguarda un trevigiano 50enne che nel 2004 era entrato in un ospedale della provincia di Treviso per un problema alle piastrine, per il quale gli vengono somministrate per via endovenosa delle immunoglobuline. Ma esce dal nosocomio con l'epatite C. La malattia viene scoperta dal medico di base al quale lo sfortunato paziente si era rivolto per un dolore al fianco destro. Dopo una serie di accertamenti clinici scopre che il fegato è compromesso e la diagnosi è infausta: trombocitopeina idiopatica ed epatite C, malattia che prima di entrare in ospedale ovviamente non aveva, tanto che precedentemente al ricovero e dell’infusione di immunoglobulinei, il 50enne era risultato negativo alla ricerca degli antigeni anti-hcv, circostanza successivamente confermata anche dalla commissione medica ospedaliera di Padova coinvolta nell'ambito del procedimento. Per l'uomo inizia allora un calvario che lo vede entrare e uscire dagli ospedali, con la consapevolezza che una malattia di questo genere non solo è difficile da curare ma riduce drasticamente anche l’aspettativa di vita. 

Nel 2013 inizia poi la battaglia legale contro il Ministero della Sanità e in primo grado ottiene una condanna che obbliga il Ministero a rimborsarlo con 60 mila euro. Ma la cifra, nonostante la sentenza sia esecutiva, non arriva perché il dicastero della salute ricorre in secondo grado, sostenendo che il paziente aveva presentato la documentazione medica oltre il termine di tre anni dal tempo in cui si era manifestata la malattia. Ma la Corte d'Appello di Venezia, nel 2017, rigetta l’istanza del Ministero ritenendo le motivazioni infondate.

E' a questo punto che comincia il "bello": per quanto condannata a pagare l'indennizzo, Roma non sgancia neppure un euro. E costringe l'avvocato Capraro a riccorrere al Tar. “Casi di questo genere non dovrebbero mai accadere - spiega l'avvocato -  la salute è un diritto per tutti e quando capita l’errore è triste vedere che il Ministero della Sanità, che dovrebbe essere il primo a tutelare la salute dei cittadini, si trincera dietro a carte bollate per non pagare quanto invece spetta di diritto ad una persona, tra l'altro per sostenere le cure. La cifra che è arrivata al 50enne è stata poi raddoppiata, rispetto alla sentenza del 2015, proprio a causa della lungaggine giudiziaria. Ma alla fine possiamo dire che giustizia è stata fatta”.

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