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Cronaca

Raccolgono vestiti per l'Africa ma è una truffa, in cinque rischiano il processo

Per questi fatti sono state rinviate a giudizio cinque persone. A scoperchiare la truffa era stata Contarina, che aveva diffidato le due aziende padovane dall'effettuare l'attività, perdendo l'introito dovuto per il conferimento e facendo scattare la denuncia

"Con poco salvi un bambino in Africa". Questo è il messaggio che campeggiava sui punti di raccolta mobili di indumenti usati destinati alle popolazioni bisognose. Ma si trattava di un inganno: quella che veniva spacciata per una donazione a titolo di solidarietà era in realtà una attività commerciale vera e propria perché i vestiti venivano poi rivenduti a tre ditte, una con sede a Viterbo e due di Prato, che li rimettevano a nuovo e li immettevano nuovamente sul mercato.

Per questi fatti, avvenuti fino a tutto il 2016, sono state rinviate a giudizio cinque persone. Si tratta di due padovani, Devil Greggio, 47enne di Arre e Claudio Gemo, 43 anni di Tribano, gli autori materiali dell'inganno indagati per traffico illecito di rifiuti e truffa, e dei tre titolari delle aziende compratrici, la 61enne Alessandra Guarducci di Prato, il 54enne Alfio Marconi, residente a Bagnoregio in provincia di Viterbo e il 72enne Paolo Brendini , anche lui di Prato, indagati soltanto per il traffico di rifiuti. A scoperchiare la truffa era stata Contarina, che aveva diffidato le due aziende padovane dall'effettuare la raccolta, senza peraltro ottenere alcun risultato, che ha perso l'introito dovuto per la raccolta e ha fatto scattare la denuncia.

Devil Greggio, rappresentate pro tempore della Asia, che ha sede a Conselve, insieme a Claudio Gemo, amministratore della Gemo srl di Bagnoli di Sopra (adova), avevano disseminato di punti di raccolta, tutti consistiti in un postazioni mobili, la destra Piave della provincia trevigiana. Dei ricavi che ottenevano dalla vendita dei vestiti che raccoglievano solo un minima parte, secondo le indagini coordinate dal pubblico ministero della Dda di Venezia Lucia D'Alessandro, sarebbero effettivamente stati dati come donazione ad alcune associazioni benefiche. Gli indumenti sarebbero poi stati stoccati presso le sedi delle due aziende, prima di raggiungere le ditte che erano incaricate di rimetterli a nuovo.

I titolari delle due aziende di Prato e quella con sede nel viterbese si difendono sostenendo che non avrebbero saputo dell'origine dei vestiti. La prima udienza del processo, trasferito per competenza a Treviso, verrà celebrata il prossimo 20 dicembre. 

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