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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Soldi per il "cuore artificiale", parlano gli imputati: «Ci abbiamo messo soldi anche noi»

Nell'udienza di oggi, mercoledì 20 ottobre, hanno deposto tre dei cinque che sono alla sbarra, accusati di truffa e abusivismo nell'esercizio dell'attività di promotore finanziario

«Non eravamo dei promotori finanziari, semplicemente parlavamo con amici, parenti e conoscenti di questa opportunità, tanto che anche noi ci avevamo messo soldi». Questo hanno detto al giudice oggi, mercoledì 20 ottobre, Luca Padovan, 31enne di Conegliano, Alessandro Pavan, anche lui 31enne di Montebelluna e Riccardo Barcolari, 27enne di Venezia, tre delle cinque persone (gli altri sono Luciano Bianchin, 58enne di Crocetta del Montello e Igor Sarcinelli, 39enne di Spilimbergo, in provincia di Pordenone) che sono a processo con l'accusa di abusivismo nell'esercizio dell'attività di promotore finanziario e truffa per avere, nell'ipotesi fatta dal pubblico ministero Massimo De Bortoli, sollecitato investimenti per realizzare un cuore artificiale attraverso una ricerca sperimentale che però aveva bisogni di ingenti fondi. Un impiego del denaro  "etico" che si sarebbe dimostrato in realtà un panzana tanto che a molti di quelli che hanno dato il proprio denaro credendoci non solo non sarebbero stati versati gli interessi, ma al momento delle denunce, relative al periodo tra il 2018 e il 2019, non sarebbe stato restituito neppure il capitale originariamente versato.

I tre respingono di aver svolto attività di promotore. «Ci ho messo 10 mila euro anche io e non ho rivisto niente» ha detto Padovan, mentre Alessandro Pavan ha ricordato che nel 2016 anche sua madre avrebbe investito denaro, ovviamente senza ottenerne la restituzione. Gli imputati avrebbero proposto ad almeno 12 persone (che si sono costituite come parti civili) di investire nell'attività di ricerca scientifica della Ellebi Fin Llc, una società con sede nel Delaware. I  cinque, in molti casi conoscenti o parenti delle vittime, avrebbero raggranellato in tutto la bellezza di 240 mila euro, più altri soldi che sarebbero stati versati sotto forma di assicurazione. Ai malcapitati che hanno creduto alla bontà dell'iniziativa promettevano interessi da capogiro, il 10% il primo anno anno, il 20% il secondo e il 30% il terzo, ma le cifre messe sul piatto hanno faticato ad arrivare e quando sono state saldate la liquidazione è avvenuta a fronte della minaccia legale. E comunque mai tutta.

Per la maggior parte infatti il capitale originale è rimasto una chimera e tutt'oggi, a fronte delle intimazioni alla sua restituzione, arrivano mail che spiegano come vi sia solo un piccolo ritardo e che presto i soldi arriveranno. Per la Procura di Treviso non si sarebbe trattato comunque di dazioni liberali, quanto piuttosto di un investimento a cui la parti offese venivano sollecitate. Ma nessuna delle persone implicate avrebbe ottenuto la regolare iscrizione all'albo.

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