Sparò e uccise lo "zio", Branko Durdevic accusato di omicidio volontario aggravato
La Procura ha chiuso le indagini sui fatti, avvenuti l'8 febbraio del 2021, che costarono la vita al 52enne Domenico "Joco" Durdevic. Al nipote vengono contestati anche i tentati omicidi delle persone che erano con la vittima
Omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione. Di questo è formalmente accusato Branko Durdevic, il 37enne che l'8 febbraio del 2021 sparò a Borgo Capriolo contro lo "zio", il 52enne Domenico Joco Durdevic, alla fine di una concitata discussione sulla piccola nipote di Domanico, che abita in Croazia. Il sostituto procuratore Gabriella Cama, nell'atto di chiusura delle indagini depositato nei giorni scorsi, imputa al 37enne, attualmente recluso nel carcere di Treviso, anche il tentato omicidio di Giampiero Petricciuolo, cognato della vittima, Vera Olah e Samanta Durdevic, anche questi aggravati.
Secondo il magistrato Branko voleva uccidere. Quel giorno di febbraio Joco Durdevic e gli altri tre arrivano sotto casa dell'uomo e avrebbero richiamato l'attenzione Branko. Il 52enne gli chiede di poter vedere la piccola che sta con la madre all'estero ma successivamente la discussione si sarebbe allargata alle altre figlie di Riccardo, che stavano invece con il nonno. Branko, che era da poco uscito di galera, a quel punto sale al primo piano della casa ed estrae la pistola, una Glock calibro 9 e 21. Poi avrebbe sparato alcuni colpi diretti contro contro lo zio, il cognato di questo e le due donne. Uno dei proiettili, probabilmente il secondo partito dalla pistola, centra il 52enne alla nuca. Domenico Durdevic morirà per le ferite dopo tre settimane di agonia.
All'interno del cranio e del cervello, dirà l'autopsia condotta da Alberto Furlanetto, il medico legale incaricato dell'esame dalla Procura, non c'era però il bossolo. Quello che si vede dalle Tac è invece un pezzo di osso, entrato nel tessuto cerebrale. Per il medico legale non cambia nulla in merito alla causa della morte, dovuta sempre al colpo sparato dal nipote Branko, che ha fatto entrare la pallottola nella calotta cranica nel cervello. Ma apre anche uno spiraglio alla tesi di Branko, secondo cui lo "zio" sarebbe stato raggiunto da un colpo di rimbalzo.
«Mi sono fatto dare la pistola perché mi erano già venuti a minacciare qualche giorno prima e temevo seriamente per la mia incolumità» dirà Branko nel corso dell'interrogatorio svoltosi il 26 marzo. «E' questo - aveva spiegato rispondendo a lungo alle domande del giudice delle indagini preliminari - il motivo per cui ero armato ma io la pistola non la so usare. Ho sparato dei colpi di avvertimento quando mio zio e la persona che era con lui si sono fatti più minacciosi ma non volevo centrarli, è stata una disgrazia»
. Di tutt'altra opinione è invece il pubblico ministero, che nella chiusura indagini addebita anche al presunto omicida non solo la detenzione illegale della pistola Glock usata ma soprattutto il fatto di aver acquistato, o comunque ricevuto, un'arma "clandestina", con il numero di matricola abraso.
«Oggi finalmente - commenta il legale di Branko Durdevic, l'avvocato Alessandra Nava - possiamo accedere al fascicolo completo delle indagini e contestare fermamente l’assunto accusatorio relativo, in principalita’, alla volontà omicidiaria. Non era assolutamente la volontà del mio assistito sparare per uccidere, o peggio aver premeditato l'atto. In ogni caso le circostanze in cui è avvenuta la tragedia e gli antefatti dimostreranno che non si potrà processare il Durdevic per i fatti così come contestati ma riqualificandoli in senso più conforme è aderente a quanto avvenuto, nonostante, purtroppo, vi sia stata la morte di un uomo». Ora Branko Durdevic ha venti giorni di tempo per farsi nuovamente sentire dal magistrato o presentare una memoria difensiva scritta.