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Cronaca Montebelluna

Consoli ai magistrati: «Crack frutto di un effetto domino reputazionale»

L'ex amministratore delegato di Veneto Banca ha ripercorso le tappe del crac della ex popolare in un interrogatorio durato oltre tre ore

«La crisi di Veneto Banca fu il risultato di un effetto domino reputazionale, a partire dalle voci sulla necessità di cambiare il cda alla perquisizione della Guardia di Finanza avvenuta in diretta televisiva». In tre ore di interrogatorio davanti ai pubblici ministeri Massimo De Bortoli e Gabriella Cama stamattina Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato di Veneto Banca, ha ripercorso le tappe del crac della ex popolare. Consoli insieme ad altri 5 componenti del management dell'istituto di credito  è stato indagato dalla Procura di Treviso per associazione a delinquere finalizzata alla truffa in relazione al collocamento delle azioni e delle obbligazioni convertibili di Veneto Banca a partire dal 2012 e fino al 2015. Per i magistrati trevigiani gli ex vertici di Veneto Banca  "promuovevano, costituivano e organizzavano una associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di truffa attraverso il personale dell'istituto di credito concernenti la vendita a condizioni inique di titoli azionari e obbligazionari". Tutti, nell'ipotesi accusatoria, sarebbero stati a conoscenza del fatto che «la società si trovava in una situazione patrimoniale e finanziaria assai critica eppure il valore delle azioni era ampiamente sovrastimato di almeno il 40% quantomeno a decorrere dal 2012».

Su questo punto Consoli si è difeso spiegando agli inquirenti di non aver mai pensato che il prezzo delle azioni Veneto Banca potesse subire l’andamento che poi in effetti ha subito, perché è sempre stato valutato secondo una precisa procedura che veniva avvalorata da esperti del settore e garantiva la corretta correlazione ai valori patrimoniali dell’istituto. «L’obiettivo della banca era quello di incrementare il proprio patrimonio attraverso l’aumento del capitale sociale - ha spiegato l'ex ad di Veneto Banca - assecondando le richieste delle autorità di vigilanza e prescindeva dal prezzo stabilito per le azioni di nuova emissione: sarebbe bastato emettere più azioni ad un prezzo minore. Per la emittente non sarebbe cambiato nulla ma ribassare il prezzo delle azioni di nuova emissione rispetto al valore che scaturiva dalle metodologie avrebbe pregiudicato gli interessi dei soci che erano già azionisti di Veneto Banca».

«Ero talmente certo che l'operazione sarebbe andata a buon fine -ha sottolineato Consoli- che ho investito la quasi totalità dei risparmi personali e della mia famiglia, per un ammontare di circa circa 7 milioni di euro, in azioni e obbligazioni subordinate Veneto Banca di cui 2 milioni di euro sono stati impiegati anche nel corso del 2014, del 2015 e del 2016». A segnare il destino della banca non sarebbe stata la "mala gestio" ipotizzata dalle indagini ma semmai un problema di natura reputazionale. Ai pubblici ministeri Consoli ha infatti ricordato di come le notizie negative che iniziarono a circolare sulla tenuta dell'istituto di credito pregiudicarono il rapporto con i mercati e la clientela. A cominciare dalla diffusione di informazione sulle attività di ispezione da parte della Banca d'Italia. «A quel punto - è stata la versione che Consoli ha dato a De Bortoli e alla Cama - è iniziata la fuga di capitali, con i correntisti che ritiravano i loro depositi».

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