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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Sfruttavano manodopera straniera, alla sbarra quattro persone

Sul banco degli imputati sono finiti due pakistani, Knurran Dil, 32enne,  e Junaid Arshad, 31 anni, e due donne, le loro fidanzate, Monica Corrò, 50enne trevigiana e la spagnola 32enne Soraya Casommurrio

E' arrivata a processo la vicenda legata allo sfruttamento di manodopera straniera, ridotta in condizioni di sostanziale schiavitù. Una decina la vittime, tutte pakistane, alcuni privi di regolare permesso di soggiorno,  che venivano utilizzati nella lavorazione dei campi e potatura vigne della provincia di Treviso. Quattro gli imputati: due pakistani, Knurran Dil, 32enne,  e Junaid Arshad, 31 anni, e due donne, le loro fidanzate, Monica Corrò, 50enne trevigiana e la spagnola 32enne Soraya Casommurrio. L'iberica e Arshad, dopo essere stati sottoposti a custodia cautelare, sono al momento irreperibili mentre la Corrò e Dil sono sottoposti alla misura cautelare dell'obbligo di firma. Oggi, venerdì 15 gennaio, si è svolta la prima udienza.

L'accusa rivolta ai quattro è, a vario titolo, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro in concorso, incendio aggravato e violenza privata tentata. Le vittime, circa una decina, erano alloggiate in case diroccate in campagna, senza riscaldamento ed energia elettrica, svegliate alle prime ore della mattina per evitare i controlli dei carabinieri e stipate all’interno di furgoni, per poi essere condotti  nei vigneti dove prestavano la propria opera, anche il sabato e la domenica, sotto stretta sorveglianza e fino a tarda sera. L'indagine, svolta dai carabinieri di Treviso e Roncade, dal nucleo ispettivo del lavoro e del gruppo dei carabinieri Tutela del Lavoro di Venezia, aveva permesso di  individuare, nel maggio dello scorso anno, un’azienda esercente nel settore agricolo, con sede legale a Treviso, che reclutava cittadini stranieri da impiegare come manodopera per lavorare presso aziende del territorio in regime di sfruttamento. Gli accertamenti condotti dai Carabinieri attraverso complessi servizi di osservazione controllo e pedinamento, oltre che controlli ispettivi e acquisizione di informazioni testimoniali rese da numerosi lavoratori, hanno quindi permesso di far emergere caporalato.

Secondo la Procura questi avrebbero impiegato i lavoratori, approfittando dello stato di bisogno e della situazione di vulnerabilità, omettendo di versare loro la prevista retribuzione e sottoscrivendo con loro dei  contratti molto difformi dagli accordi  regionali e nazionali, spesso limitandosi alla sola corresponsione del denaro ritenuto necessario per l’acquisto di sigarette e di ricariche telefoniche. In altri casi ai lavoratori sfruttati, che venivano alloggiati in sistemazioni di fortuna che erano prive di riscaldamento ed energia elettrica, veniva trattenuta una cifra variabile dai 100 ai 200 euro, a seconda che gli venisse assegnato un posto per dormire a terra oppure su di un letto. Per evitare i controlli di polizia venivano svegliati alle prime ore della mattina e stipati all’interno di furgoni, per poi essere condotti nei vigneti dove prestavano la propria opera, sotto stretta sorveglianza, fino a tarda sera e senza il rispetto di alcuna norma di sicurezza sui posti di lavoro tanto da risultare privi di qualsiasi dispositivo di protezione individuale.

Le indagini hanno fatto emergere, inoltre, come gli indagati fossero soliti ricorrere a minacce nei confronti dei lavoratori per costringerli a rimanere alle loro dipendenze: se in alcune circostanze la parziale retribuzione veniva utilizzata come minaccia  di non corrispondere quanto dovuto per le prestazioni già svolte, in altre veniva detto ai lavoratori che i quattro avrebbero chiamato le forze dell’ordine che sarebbero state informate dello stato di clandestinità di alcuni di loro, con il conseguente rimpatrio degli interessati e dei loro parenti. Nel corso dell’attività investigativa emerse poi la pericolosità degli indagati, ed in particolare del soggetto pakistano titolare dell’azienda che impiegava i connazionali, che, nel mese di febbraio dell'anno scorso, aveva dato alle fiamme l’autovettura di un suo concittadino che stava collaborando con i carabinieri quale interprete nel corso delle audizioni dei lavoratori tenute dai militari. 

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