Adescato in una chat e sequestrato in un casolare, si indaga su altri possibili episodi
Sarà l'analisi dei telefoni e delle altre apparecchiature elettroniche sequestrate durante le perquisizioni in casa a dire se l'impiegato 50enne, liberato sabato scorso dai Carabinieri di Castelfranco, sia stata o meno l'unica vittima della banda di tre giovani (di cui uno minorenne) che agganciava le proprie vittime su siti e social per persone gay
Sarà l'esame dei telefoni e delle altre apparecchiature elettroniche che sono state sequestrate nel corso delle perquisizioni in casa a chiarire se questo episodio da "Arancia Meccanica" in salsa trevigiana sia stato un caso singolo o se invece, come sospettano gli inquirenti, gli adescamenti-trappola e le conseguenti rapine ai danni di uomini maturi in cerca di emozioni forti durassero già da qualche tempo. Del resto i tre giovani, un minorenne e due di 18 e 20 anni (oggi per questi ultimi si è celebrata l'udienza di convalida al termine della quale il gip Carlo Colombo, dopo che i due hanno preferito avvalersi della facoltà di non rispondere nel corso dell'interrogatorio di garanzia, ha deciso che escano dal carcere e vengano messi agli arresti domiciliari) erano particolarmente organizzati e avevano studiato un "piano" nei minimi particolari.
Al vertice di questa piramide, che metteva le base su un ricatto di natura sessuale, ci sarebbe stato il più giovane. Era infatti il 15enne che avrebbe frequentato la chat room di siti e social gay utilizzando come esca l'occasione di un incontro bollente. Poi entravano in scena gli altri due, risultati disoccupati e con alle spalle delle famiglie normali. Uno di loro, il più grande dei tre, è un ragazzo affetto da un problema fisico che si era manifestato negli anni anche con parecchi problemi di tipo psicologico ma mai si era lasciato andare ad atti violenti. Orfano di padre da quando aveva 10 anni il giovane ha subito oltre 100 operazione correttive della sua malformazione ed era anche in cura psichiatrica. Il difensore, l'avvocato Elisa Berton, ha subito preparato una ampia documentazione medica e chiederà che sul suo assistito venga eseguita al più presto una perizia psichiatrica.
L'altro, considerato anche lui uno dei cervelli della banda di sequestratori, ha mostrato una determinazione degna di un malvivente incallito. Sarebbe lui infatti ad essersi procurato il teaser con cui, sabato scorso, hanno stordito la vittima di turno, un impiegato 50enne. Al 18enne sarebbe poi da attribuire anche la provenienza dei due coltelli con cui i complici tenevano sotto scacco l'uomo, a terra con la bocca bendata con del nastro adesivo, mentre proprio il ragazzo prendeva la sua bicicletta e stava per andare a fare un prelievo con la tessera bancomat che il 50enne era stato costretto a dare, insieme al denaro che aveva dentro il portafogli e alle chiavi dell'auto.
I carabinieri di Castelfranco tenevano sotto occhio da tempo quella abitazione in costruzione, in via Marconi a Vedelago, non lontano dalla casa di riposo. In paese in tanti avevano riferito di avere visto dei movimenti strani soprattutto di ragazzi. All'inizio si pensava ad una possibile attività di spaccio di droghe leggere ma quando sabato pomeriggio i militari hanno fatto irruzione dentro la verità, in tutta la sua drammaticità, è stata svelata.
Le ipotesi al vaglio degli investigatori sono molteplici ma puntano tutte sul fatto che il sequestro non sarebbe un episodio isolato: i tre giovani infatti potrebbero aver agito indisturbati contando sulla "vergogna" delle vittime che, una volta liberate, non avrebbero avuto il coraggio di denunciare. Per questo i carabinieri, contando anche sul clamore mediatico che circonda la vicenda, hanno lanciato un appello: se ci sono altre persone finite in trappola si facciano avanti nel massimo della riservatezza.