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Cronaca

Veneto Banca: «Consoli non può essere processato due volte per lo stesso fatto»

Sabato 30 aprile l'udienza preliminare in tribunale a Treviso. Si torna in aula il 1º luglio per le repliche dell'accusa. La decisione del gup Piera De Stefani è attesa per la metà dello stesso mese

«Non si può processare Vincenzo Consoli due volte per lo stesso fatto». Questa la tesi di Raffaella Di Meglio, avvocato dello studio di Ermenegildo Costabile e difensore di Consoli (già condannato a 4 anni per falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza) nell'udienza preliminare di oggi, sabato 30 aprile, del procedimento che vede l'ex amministratore delegato e direttore generale di Veneto Banca rischiare il rinvio a giudizio per associazione a deliquere finalizzata alla truffa in merito alla vendita, avvenuta tra il 2012 e il 2015, delle azioni della ex popolare. L'accusa è che Consoli e gli altri quattro imputati Giuseppe Cais, che era stato il responsabile della pianificazione di Veneto Banca (difeso dall'avvocato Giuseppe Pugliese), Andrea Zanatta, ex funzionario preposto tra l'altro alla determinazione del prezzo delle azioni (difeso dall'avvocato Boris Cagnin), Mosè Faggiani, che della ex popolare fu condirettore generale e responsabile area commerciale (difeso dall'avvocato Massimiliano Asdrubali)  e Renato Merlo, responsabile della “Direzione centrale Pianificazione - Controllo di Veneto Banca (difeso dall'avvocato Alberto Mascotto), avrebbero pianificato il collocamento dei titoli a prezzi che, secondo la stime della Procura, sarebbero stati gonfiati anche del 70%.

«Non è possibile - ha detto la Di Meglio - procedere contro Vincenzo Consoli in quanto vi sarebbe una palese violazione del principio del "no bis in idem" dato che in realtà è già stato giudicato per fatti che sono gli stessi che vengono contestati in questa sede; il presupposto dell'imputazione è il valore gonfiato delle azioni, ma è già stato condannato per questo. Inoltre è stata rappresentata - ha detto - l'insussistenza dell'associazione a delinquere: da un lato Consoli è stato descritto come "one bank man", l'unico responsabile dell'ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto, adesso viene invece indicato come il capo addirittura di una associazione per delinquere. Per quanto riguarda la truffa - ha sottolineato - la famiglia di Consoli era azionista di Veneto Banca, di cui deteneva titoli per circa 7 milioni. Il pubblico ministero ha ritenuto che per alcuni dirigenti, in particolare per l'ex presidente Flavio Trinca e soprattutto nei confronti dei  dipendenti, il fatto di essere detentori di azioni significasse il venire meno dell'elemento soggettivo del reato. Quindi abbiamo chiesto che questo parametro di giudizio valga anche per Consoli, che ha acquistato non solo nel 2014, in sede di aumento di capitale, ma anche nel 2015 e ancora nel 2016». A margine è stata chiesta la prescrizione per fatti, iscritti nel 2016 ma arrivati a processo soltanto oggi.

Il legale di Renato Merlo ha invece posto l'accento sul fatto che il consiglio di amministrazione e l'assemblea sarebbe stata indotta in errore dalla Pianificazione, di cui sarebbe stato a capo lo stesso imputato. «Tesi - ha detto l'avvocato Mascotto - che è stata smentita dalla lettura dei verbali, dove in realtà tutti avevano la consapevolezza di quello che andavano a decidere nel formulare i piani, peraltro immaginati secondo una lettura ottimistica delle prospettive della banca. Quindi è evidente che da parte della funzione guidata dal mio assistito non c'è stata alcune induzione all'errore». Si torna in aula il 1º luglio per le repliche dell'accusa. La decisione del gup Piera De Stefani è attesa per la metà dello stesso mese.

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