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Cronaca Vittorio Veneto

Processo al parroco: «La curia ci disse di non denunciare»

Nel procedimento contro don Federico De Bianchi, il sacerdote accusato di aver molestato quattro giovani maggiorenni ricoverati nel reparto di psichiatria dell'ospedale vittoriese, depone l'uomo - un infermiere che lavora nel Regno Unito - che ha fatto scoppiare il caso. «Abbiamo avuto un incontro con un responsabile della curia di Vittorio Veneto - ha spiegato in aula - ci spiegò che avrebbero fatto in modo di mettere un freno a quei comportamenti esuberanti»

«Abbiamo avuto un incontro con un responsabile della curia di Vittorio Veneto, che disse che avrebbero fatto in modo di mettere un freno a quei comportamenti "esuberanti". Ma aggiunse che l'importante era non presentare denuncia perchè altrimenti i giovani avrebbero dovuto rivivere tutto in tribunale».

Questo e uno dei passaggi chiave della deposizione dell'infermiere che ha fatto scoppiare il caso di don Federico De Bianchi, ex parroco di S. Giustina e Val Lapisina, finito a processo perché avrebbe molestato quattro giovani maggiorenni ricoverati nel reparto di psichiatria dell'ospedale vittoriese. Il teste, estremamente qualificato e in possesso di un master in infermieristica, attualmente lavora in un grande ospedale del sud dell'Inghilterra.

«Ho parlato con i ragazzi - ha spiegato oggi, martedì 20 aprile - dopo due episodi successi a stretto giro di posta. Nel primo ero in uscita con due dei quattro giovani che sarebbero stati fatti oggetto delle violenze, vicino a una gelateria: videro don De Bianchi e mostrarono subito un certo nervosismo, tanto che uno fu bloccato perché aveva avuto una reazione violenta. Il secondo avvenne all'interno di un locale: uno dei ragazzi ebbe un episodio in cui rimase per qualche minuto fermo, come impietrito con gli occhi girati dietro alla palpebre. Qualche giorno dopo chiesi lumi e uno dei loro mi raccontò delle molestie subite».

Il giovane aveva riferito in aula che inizialmente non aveva fatto parola a nessuno riguardo quello che è successo. «La prima a saperlo è stata mia mamma - disse - ma lei non ha dato peso a quello che ho detto, forse perché l’ho detto a messa. Poi ne ho parlato con due ragazzi che avevano detto di aver subito la stessa cosa. Ero in comunità, a Villa Delle Rose a Vittorio Veneto, una volta eravamo fuori a fumare una sigaretta parlando del più e del meno ed è uscita la storia». Il processo è stato aggiornata al 1° giugno per iniziare a sentire i testi della difesa.

La replica della Diocesi: fiducia nella giustizia

In riferimento alle recenti affermazioni del sig. Alessandro Borga, pubblicate sulla stampa locale a seguito della sua deposizione nella giornata del 20 aprile presso il Tribunale di Treviso, la Diocesi di Vittorio Veneto precisa che non ha posto alcun ostacolo al percorso giudiziario riguardante le accuse mosse al sacerdote don Federico De Bianchi. Mons. Martino Zagonel, citato nella deposizione, si è effettivamente incontrato nel 2014 con il sig. Borga e in quell’occasione ha ascoltato con attenzione la testimonianza dell’infermiere. Proprio alla luce di quell’incontro, Zagonel si è subito premurato di capire meglio la situazione che gli era stata narrata da Borga ed ha interpellato l’allora coordinatore della Comunità terapeutica. Dopo aver accertato che di questa situazione erano già al corrente le competenti autorità sanitarie, mons. Zagonel ha ritenuto che il caso avrebbe intrapreso un adeguato e autonomo percorso nelle opportune sedi civili, come di fatto è accaduto. Dal canto suo, il vescovo Corrado Pizziolo, messo subito al corrente della vicenda, ha avviato, con le possibilità a sua disposizione, una verifica delle informazioni ricevute per fare chiarezza sul caso, senza interferire sul procedimento civile già avviato, ed ha preso delle adeguate misure sul versante della cura pastorale. Si precisa, infine, che il sacerdote don Federico De Bianchi, non appena informato delle accuse a suo carico, sin dal primo momento ha rifiutato categoricamente ogni patteggiamento giudiziale o extragiudiziale, deciso a difendere la sua innocenza davanti alle sedi competenti, come sta facendo ormai da più di tre anni. La Diocesi, pertanto, resta in fiduciosa attesa che l’iter giudiziario giunga a conclusione e restituisca in pienezza la verità dei fatti.

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