"Abolire il carcere": riflessioni estive di Giancarlo Brunello di Cittadinanzattiva Treviso
Parole che prendono spunto dal titolo-provocazione di un libro che spiega come le carceri in Italia sovente tradiscono i principi fondamentali della nostra Costituzione
In questi giorni di canicola estiva ho avuto modo di riflettere e riannodare le fila dei pensieri che avevo maturato, fissandoli con degli appunti, ai temi della Riforma della Giustizia della ministra Cartabia. Le annotazioni seguono due filoni di pensiero, comuni, seppure paralleli. Uno è quello del sistema carcerario italiano che è pietrificato nella sua inezia di decisioni, anche se non privo di idee e spunti che possono, non dico cambiarlo, ma cominciare ad affrontare quei problemi organizzativi minimi sui quali peraltro, a livello di opinione e di confronto, vi è già stato un lavoro importante. Mi riferisco ad esempio al documento del prof. Marco Ruocolo (Innovazione del Sistema Penitenziario, consegnato alla ministra Cartabia, nel gennaio 2022) su alcune problematiche, molte di carattere organizzativo. Pensiamo alla nomina del dott. Carlo Renoldi, nuovo direttore generale del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) uomo di studi e di conoscenza della Giustizia, che ha come difetto l'applicazione della Costituzione Italiana. Sono inoltre usciti due saggi importanti, diversi fra loro, ma entrambi con obiettivo il valore della pena e della reclusione dei REO. Mi riferisco al libro di Cosima Buccoliero "Senza sbarre. Storia di un carcere aperto", edito da Einaudi.
Lei è stata direttrice di carceri, anche importanti come numero. Oggi è alla casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. L'altro è il saggio filosofico, un racconto storico, un reportage e un manuale di istruzioni, con vari autori, fra i Luigi Manconi, il noto sociologo che si occupa di questi temi, e Stefano Anastasia. Il titolo è fortemente provocatorio: "Abolire il Carcere", edito da Chiare Lettere. Infine, come un vino buono di fine pasto, mi è tornato in mente quanto aveva scritto, diversi anni fa, Carlo Cattaneo, l'eroe e fine pensatore, che le carceri sono il biglietto da visita di una nazione. Il nostro decisamente è un biglietto da visita brutto e improponibile. Il carcere oggi è un luogo omertoso, quello che succede in carcere non lo si sa mai. La verità, quella che si può sapere, la sanno a pezzi varie persone. Spesso è un luogo in cui il decoro della persona, dipendenti compresi, è a un basso livello, non degno di una grande e democratica nazione come l'Italia. Ma ho la sensazione, seppure non suffragata da atti e non condivisa, che questa situazione rimarrà tale per molto tempo ancora. In fondo, "è comoda a tutti", garantisce uno status quo conveniente ai vari potentati e corporazioni. Mantiene il sistema carcerario a livello di luoghi di pena e quindi di "castigo", anche etico, come piace a gran parte della magistratura. Però consente, dove la Direzione e la Polizia Penitenziaria condividono, livelli e gestioni carcerarie di diversa qualità. Contesti utili alle persone arrestate, ma anche agli amministratori della Giustizia.
A proposito di questi, io temo che molti di loro non sappiano cosa sia effettivamente un carcere e come funziona. Questo per la natura "omertosa" della struttura, in cui qualsiasi verità carceraria è patrimonio a pezzi di singole persone con le loro responsabilità. E non c'è la possibilità di indagare per capire. La casistica di questi anni lo dimostra. Dalla denuncia, anche pubblica, non si arriva mai alla verità. Anche questo è uno dei valori del "castigo del popolo in nome della nazione". Che fare per migliorare? L'idea che contiene la Riforma, per quanto riguarda i reati sotto i 4 anni, è quella di agire e incentivare le cosiddette pene alternative. Oggi si stima che a fronte dei 54.134 detenuti (di cui 2.237 donne e circa 17mila stranieri - dati dicembre 2021) ci siano circa 93mila condannati che scontano la pena tramite le misure alternative, con risultati buoni sulla recidiva e sul loro re-inserimento sociale. Ovviamente, come sempre, nella cultura dell'omissione totale o parziale della verità, che è propria di quest'area, si tratta di una situazione buona che fa ben sperare. Per il futuro, i nuovi propositi devono poter contare su "due fattori x". Uno è il coinvolgimento della magistratura e dell'avvocatura nel credere e quindi usare questa opportunità per l'estensione della pena. L'altra è un diverso impegno dello Stato, erogatore di molti servizi e gestore delle prebende, affinché affidi parte di questa "imprenditorialità sociale" alle strutture del Terzo settore (cooperative sociali, associazioni del volontariato ed altre forme aggregative dell'area).
Questa realtà, già molto presente nel mondo della giustizia, potrebbe essere lo strumento operativo per il lavoro che si sta dimostrando già oggi di grande supporto. Si potrebbe ad esempio potenziare l'area dei servizi alla persona, dei servizi al territorio o alle strutture della cultura e a quello delle mostre. Tutti lavori che richiedono, oltre agli specialisti, anche una forte presenza di manualità per gli aspetti più organizzativi, che sono molti. Questo tipo di estinzione della pena potrebbe essere anche la base di sensibilizzazione per progetti di Giustizia Riparativa. Nel concludere, mi piace ricordare che in una presentazione del suo libro "Senza sbarre. Storia di un carcere aperto", Cosima Buccolieri in un articolo da Il Venerdì di Repubblica del 29 aprile 2022 raccontava: "Ho un incubo, da direttrice, finire in cella da carcerata". Non vi nascondo che anch'io, più di qualche volta, ci penso, in particolare quando vengo a conoscenza delle tante storie assurde della nostra giustizia in Italia.
Giancarlo Brunello - Cittadinanzattiva Treviso