Colomban, appello al governo: «Se chiudono le PIva, muoiono lavoratori e Stato sociale»
L'imprenditore, voce dei produttori di ReteSi, denuncia una situazione che ormai è diventata insostenibile: «Il 66% delle entrate dello Stato provengono dai produttori, vanno aiutati»
L'imprenditore Massimo Colomban esce allo scoperto anche in un momento difficile come quello attuale e prende le difese delle Partite Iva e dei produttori; una battaglia, la sua, iniziata in tempi non sospetti. Come portavoce, infatti, di ReteSi, la rete dei produttori e risparmiatori italiani, da anni il fondatore di Permasteelisa ha presentato alle Istituzioni l'urgenza di difendere una categoria produttiva fondamentale. E oggi, in un momento ancora più difficile per l'economia italiana, ha sentito di prendere carta e penna e scrivere un appello direttamente al governo.
«Muoiono lavoratori e Stato sociale»
«Il 66%, quindi oltre i due terzi, delle entrate dello Stato - esordisce Colomban - provengono dai produttori: sono soldi che versano gli imprenditori, ovvero le partite IVA, come sostituti d’imposta anche per i lavoratori. Se chiudono le partite IVA, il PIL diminuirà, come sta avvenendo, e diminuiranno le risorse statali per pensioni, sociale, sanità, scuole e apparato pubblico. Un disastro che oltre a far morire i lavoratori, fa fallire anche lo Stato sociale». Colomban, quindi, continua: «Lo Stato per decenni ha gravato i produttori, le partite IVA ed imprenditori, con tasse, gabelle e burocrazia asfissiante: il PIL è fermo da 20 anni, anzi sta diminuendo! Così come l’occupazione, impoverendo il 90% dei cittadini. I poveri, è un dato di fatto, si sono raddoppiati negli ultimi anni. Lo Stato non ha le risorse sociali per sostituirsi ad una sana economia imprenditoriale, indispensabile per sopravvivere come Stato e come democrazia: lo Stato deve permettere di lavorare».
Le ricette
Per Colomban le ricette oggi sono sempre le stesse del passato: «Uscirne implica semplici ma decisi passaggi: ad esempio snellendo le procedure e la burocrazia su chi fa impresa e sugli appalti, semplificando e diminuendo la miriade di tasse che impediscono a chi fa impresa e crea occupazione (il PIL) di crescere, frustandone il ruolo e quasi costringendoli ad una evasione di sopravvivenza. Incentivando poi le imprese ad assumere i disoccupati, creando una No Tax area per i primi 3-5 anni (zero tasse e zero contributi) generando così una sana economia che eviterà allo Stato al pagare CIG, RdC-Redditi di Cittadinanza, costi Sociali o anacronistiche diarie ad una miriade di immigrati nullafacenti. La spesa pubblica, la troppa spesa sociale, indebita mortalmente lo Stato, cioè i nostri figli e le future generazioni: il conto lo dovranno pagare loro. Infine - spiega - dobbiamo rimodulare la spesa pubblica pensionistica fuori controllo, caricata come un enorme fardello sulle spalle dei lavoratori e giovani; è il doppio, in relazione al PIL, della media OCSE! Basterebbe copiare i paesi virtuosi come il Canada, l’Australia e tanti altri Stati che non danno pensioni o sanità gratuita a chi ha già elevati patrimoni o redditi. In questi Stati virtuosi - spiega- la pensione, per chi non ha fatto lavori usuranti, viene riconosciuta non a giovani sessantenni ma verso i 65-70 anni...gioco forza ineluttabile con il prolungamento dell’età».
Il dovere dei governanti
Infine l'appello vero e proprio: «Il risparmio degli italiani supera i 4.400 miliardi, il debito pubblico in mano alla finanza internazionale, spesso speculativa, è di circa 900 miliardi (il 20% dei nostri risparmi); lo Stato riporti questo debito in tasca agli italiani, remunerandolo coerentemente: avremmo così 18 miliardi ogni anno di crescita economica; +1 % di PIL. Senza una crescita economica, del PIL, non cambieremo i rapporti fallimentari attuali. La crescita economica si genera con una crescita imprenditoriale, dell’occupazione, e quindi delle entrate dello Stato; questo permetterà altresì di ridurre o riportare a valori gestibili la spesa per la disoccupazione, la spesa sociale. Lo Stato, i nostri governanti, doverosamente nel rispetto della Costituzione, devono, oggi come e più di ieri, creare le condizioni al fine che tutti i cittadini possano trovare opportunità di lavoro, reddito e quindi benessere senza doverlo elemosinare».