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Economia

Riforma del mercato del lavoro, Lorenzon (Cisl): "Tanti dubbi"

Le perplessità del segretario di Cisl Treviso, Franco Lorenzon, sulla riforma del mercato del lavoro studiata dal Governo Monti

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di TrevisoToday

Se perfino lo stesso ministro Elsa Fornero ha dichiarato che la legge sul Mercato del lavoro appena approvata dal Parlamento può essere migliorata, non c’è da sperare che qualcuno abbia voglia di prendersi il merito di aver introdotto questa norma legislativa.

Infatti, sia le associazioni imprenditoriali che quelle sindacali si sono affrettate a esprimere il proprio giudizio insoddisfacente. Dichiarando altresì che la questione non è chiusa e che si dovranno apportare ulteriori miglioramenti.

Così, una partita iniziata male, sulla scorta di opposte ideologie (in particolare sul citatissimo articolo 18), è finita per scontentare tutti, lasciando seri dubbi sul fatto che l’attuazione di questa Riforma possa realmente migliorare il funzionamento dell’asfittico mercato del lavoro italiano.

Alla fine, la nuova legge ha finito per cogliere il solo obiettivo – sia pur grandemente depotenziato – di consentire al Governo Monti di presentarsi al confronto europeo “con le carte in regola”. Più formali che sostanziali, ma pur sempre in regola.

Cosa possiamo aspettarci dunque per il futuro?  Chi continuerà ad avere un approccio di tipo ideologico, continuerà a reiterare le proprie lamentazioni, nella certezza che nulla verrà cambiato.

Chi invece proverà concretamente a fare i conti con il terremoto che ha investito l’economia e il mercato del lavoro italiano, proverà a sperimentare qualche nuovo percorso capace di tutelare meglio i lavoratori e consentire alle imprese di reggere alla sfida della competizione globale.

Diverse le carte da giocare. La prima è quella di valorizzare lo strumento dell’apprendistato quale canale privilegiato di ingresso al lavoro dei giovani. Questa, forse, è l’unica norma che riscuote un consenso unanime: per le aziende, perchè mantiene il costo del lavoro a livelli sopportabili, e per i lavoratori perchè si tratta di un contratto non precario e potenzialmente in grado di offrire una ragionevole stabilità occupazionale.

La seconda carta è quella di estendere la platea di coloro che possono godere degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione e disoccupazione). Nella norma legislativa c’è stata una sorta di scambio tra l’allargamento dei beneficiari (inclusi i lavoratori delle piccole imprese e gli atipici) e una riduzione dei periodi per i quali vengono corrisposte tali indennità. Infatti, all’allargamento dei beneficiari, non è seguito un incremento delle risorse, che sono rimaste quelle di prima, finendo così per dare un po’ di meno ad un numero maggiore di lavoratori. Questa è dunque “un’incompiuta” che occorre completare con lo stanziamento di ulteriori risorse.

Non sarà però questo il problema principale da risolvere, perché la novità più clamorosa indotta dalla crisi risiede nella necessità di passare da una gestione passiva ad una gestione attiva degli ammortizzatori sociali. In altre parole, è necessario usare i periodi di Cassa integrazione e/o di mobilità non più per attendere “con le mani in mano” che passi il tempo, ma per trovare - con l’intervento della formazione e della riqualificazione professionale - un altro posto di lavoro, con il contributo dei soggetti pubblici, delle agenzie private e delle parti sociali. Su questo la nuova legge, purtroppo, è particolarmente carente.

Da ultimo, la questione dei licenziamenti individuali, con il restyling dell’articolo 18 che diventa inevitabilmente “più elastico” di prima, ma non per questo meno capace di dare un’effettiva tutela ai lavoratori in caso di licenziamento illegittimo. È stato, infatti, introdotto un maggior ruolo delle relazioni delle parti sociali nel governo della materia, con l’introduzione di una procedura di conciliazione preventiva. Si è fatto spesso riferimento al modello tedesco: ebbene, questo è uno dei punti in cui quel modello ha dato frutti positivi, responsabilizzando le parti sociali anziché assegnare sempre e solo agli avvocati un compito che non possono svolgere con efficacia, stante i tempi della giustizia italiana.

Posando lo sguardo sulla realtà trevigiana, non sarà sicuramente una norma legislativa a creare i posti di lavoro perduti in questi tre anni. La vera soluzione consiste nel diminuire la pressione fiscale sul lavoro (altro che ridurre - come ha fatto il Governo - la detassazione degli accordi aziendali e territoriali di produttività), perché questa è, nel breve periodo, l’unica strada che consente alle nostre imprese manifatturiere di reggere la concorrenza internazionale. Il
resto, compresa la nuova legge sul Mercato del lavoro, ha solo una funzione di contorno, di fluidificazione degli ingranaggi e di supporto.

Ci vuole ben altro per uscire da una crisi, la cui natura consiste in una competizione globale in cui le nostre imprese hanno il compito più difficile, perché hanno i costi più alti. E i nostri lavoratori rischiano di pagare un conto salatissimo: quando va bene possono sperare in un posto di lavoro precario, quando va male finiscono disoccupati.

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