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Economia

Manifatturiero bene a fine 2021 ma il rincaro dell'energia azzoppa la ripresa

Le imprese stanno vivendo un paradosso: hanno ordini, ma preferiscono allungare i tempi di consegna piuttosto che produrre con questi costi dell’energia. Ci sarebbero anche previsioni buone per il primo trimestre 2022, ma sospese a scenari e tensioni geopolitiche in continua evoluzione

Lo slancio del manifatturiero è proseguito anche nel quarto trimestre 2021, recuperando tutto il terreno perduto rispetto ai livelli di produzione pre-Covid. In provincia di Treviso la produzione industriale – sottolinea Mario Pozza, Presidente della Camera di Commercio di Treviso e Belluno|Dolomiti – è cresciuta del +5,5% sul trimestre precedente, e del +9,1% a Belluno. Su base annua la crescita della produzione industriale è, inevitabilmente, a due cifre, in entrambe le province: attorno al +15% per Treviso, attorno al +20% per Belluno.

È il risultato che otteniamo - spiega Pozza - facendo la media delle variazioni tendenziali trimestrali. Certamente, variazioni così sostenute sono dovute al confronto con un anno precedente profondamente condizionato dalla pandemia. Ma anche l’Istat ha certificato, per l’intera economia italiana, una produzione industriale in recupero del +11,5% sul 2020. E a livello territoriale vengono in supporto, ai nostri risultati, i dati ufficiali (sempre di fonte Istat) relativi all’export: che già nei primi 9 mesi del 2021 evidenziavano un recupero delle vendite all’estero del +17,7% a Treviso, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, e del +36,3% a Belluno. Dinamiche analoghe, sempre a due cifre, si registrano anche nel confronto tra quarto trimestre 2021 e quarto trimestre 2020, periodo già di ripartenza del manifatturiero: ciò a conferma della robustezza di fondo del comparto, sancita anche dall’indice PMI Markit, ai massimi storici nel periodo considerato.

Il punto cruciale però è il seguente – aggiunge Pozza: questo quadro fin qui decisamente positivo rischia ora di essere compromesso dai forti rincari energetici. Viviamo quasi un paradosso: le imprese hanno ordini, ma sono quasi indotte ad alzare il piede dall’acceleratore, ad allungare i tempi di consegna, per non vedersi le marginalità erose dal costo dell’energia. Stavamo andando verso una normalizzazione degli approvvigionamenti e una riduzione del costo dei noli. Lo stesso settore dei “mezzi di trasporto” - sottolinea il Presidente - colpito dalla crisi dei microchip, ha visto risalire, nel quarto trimestre, la capacità produttiva ben oltre il 75%.

Ma concorrono in negativo, a svantaggio dell’economia reale, almeno due fattori – secondo il Presidente Pozza: una speculazione sulle attese di rincaro degli energetici che va ben oltre il temporaneo disallineamento tra offerta e domanda di energia post-pandemia (il recupero è stato repentino, verissimo, ma poi il fabbisogno si è riportato ai livelli pre-Covid); questa speculazione, inoltre, sta trovando facile sponda in una visione europea molto fumosa della transizione energetica, che - in virtù di un ideologismo “green” - non ha considerato per niente, in modo realistico, le gradualità necessarie e le dipendenze geopolitiche (ora messe in luce in tutta evidenza dalla crisi russo-ucraina).

Le imprese percepiscono i mercati ancora dinamici per i prossimi mesi – dice Pozza. E dunque speriamo che la diplomazia riesca a disinnescare queste tensioni geopolitiche, che non fanno bene né alle nostre imprese che operano in quei quadranti, né alla questione energetica. E poi - è l’appello del Presidente - riportiamo la politica europea ad una visione meno ideologica e più realista della transizione energetica. Non c’è dubbio che dobbiamo andare in quella direzione, per cambiare passo rispetto alle grandi questioni della sostenibilità dello sviluppo a livello globale: ma la strategia fin qui definita è priva di qualsiasi visione rispetto alla sostenibilità tecnica, economica e sociale della transizione, ai suoi costi e benefici calcolati in tutte le loro interdipendenze. Ed è per questo che ora ci troviamo a pagare l’energia più cara che mai.

Il quadro internazionale e nazionale

Il forte clima di incertezza degli ultimi mesi del 2021 non ha compromesso la crescita dell’economia mondiale, tanto che le stime del Fondo Monetario internazionale (World Economic Outlook di gennaio) confermano per il PIL globale una crescita del +5,9% (stima invariata rispetto alla previsione di ottobre). Per l’Eurozona la stima è stata perfino rivista al rialzo: +5,2% (contro il +5,0% di ottobre). 

Anche l’economia dell’Unione Europea ha retto nel quarto trimestre, nonostante il riacuirsi della pandemia e le criticità sul fronte degli approvvigionamenti e dei beni energetici. Gli ultimi dati Eurostat, infatti, mostrano una crescita del PIL del +0,4% rispetto al terzo trimestre, nonostante la flessione della Germania (-0,7%). 

Per il comparto manifatturiero europeo, conferme di questi andamenti arrivano dall’indice sintetico PMI di Markit, che nel corso del 2021 ha raggiunto i massimi storici e che ancora a gennaio si mantiene in territorio espansivo (58,7), pur accennando a dei rallentamenti.

Tuttavia, come spiegano gli esperti di Congiunturaref. nella nota del 27 gennaio scorso, affinché il tono di questa ripresa non si affievolisca ulteriormente è necessario che alcuni punti critici trovino una soluzione in questi primi mesi del 2022.

Tra questi, come già osservato nei precedenti report, ci sono i problemi legati alle interruzioni del funzionamento delle catene globali del valore, su cui però sembrano emergere segnali di miglioramento. Nelle ultime settimane, infatti, il Baltic Dry Index, che misura il prezzo dei noli marittimi, è rimasto sotto i 2.000 punti (non succedeva da marzo ’21), così come dovrebbe ridimensionarsi il problema legato alla filiera dei semiconduttori e microchip.

È poi proseguita la pandemia, con la variante Omicron: che non ha comportato misure di distanziamento e restrizioni troppo stringenti, ma ha generato situazioni diffuse di quarantena, e alcune limitazioni (e autolimitazioni) nelle attività legate ai mezzi di trasporto, alla ristorazione e ai servizi alberghieri. Lo scenario futuro che viene prospettato, con il proseguimento della campagna vaccinale e lo sviluppo di nuovi farmaci specifici, contempla sempre di più la possibilità di una convivenza con il virus, con limitazioni che risulteranno man mano meno impattanti sull’economia.

La fine del 2021 ha però visto aggravarsi la questione energetica. Il Centro Studi Confindustria ha bene messo in evidenza come il prezzo unico dell’energia elettrica in Italia sia passato dai 54,04 euro/MWh del dicembre 2020 ai 281,24 euro/MWh nel dicembre 2021 (+421%). Ciò, nonostante tiraggi effettivi di corrente elettrica che si sono semplicemente riportati ai livelli pre-Covid (come si può vedere dal grafico di fonte Terna). “Questa escalation – commenta Confindustria – deriva dall’assetto del mercato dell’energia elettrica italiano caratterizzato da due driver principali, il costo del gas naturale, aumentato di circa il 600% nel 2021, e il valore dei titoli emissivi nel sistema Ets (il sistema di scambio di quote di emissione dell’Unione europea, principale strumento utilizzato dall’Ue per controllare le emissioni di inquinanti e gas a effetto serra), anch’esso arrivato alla soglia record di circa 80 euro/tCO2”.

Pare insomma che il gioco speculativo sulle attese delle quotazioni del gas, per effetto di una maldestra gestione della transizione energetica in Unione europea, vada ben oltre la dinamica reale della domanda e dell’offerta energetica. Le stesse recenti tensioni geopolitiche sulla questione Russia-Ucraina sono andate ulteriormente ad alimentare questo gioco sulle quotazioni attese.

Le prospettive sul 2022 nell’Eurozona e in Italia sono molto condizionate dalla questione energetica. Se sul fronte della pandemia è ormai condiviso uno scenario di normalizzazione e convivenza (anche a fronte di possibili ulteriori ondate), l’incognita dei prezzi energetici resta ancora alta, direttamente proporzionale ad una visione confusa della politica europea sui tempi e sulle modalità della transizione energetica. È questa incognita che ha indotto il FMI a rivedere al ribasso le previsioni di crescita del PIL per il 2022: ora al +3,9% per l’Eurozona (dal +4,3% stimato ad ottobre) e al +3,8% per l’Italia (dal +4,2%).

Tuttavia, come per l’Eurozona, il manifatturiero italiano si troverebbe ancora in una situazione favorevole, sul fronte della domanda, con l’indice PMI di Markit al 58,3 a gennaio. Certo, gli indici di dettaglio segnalano questo fenomeno di rallentamento della produzione, pur a fronte di una domanda sostenuta, che comporta un aumento dei tempi di consegna e del lavoro inevaso.

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