Maciste alpino di Luigi Maggi e Luigi Romano Borgnetto
TREVISO Prosegue mercoledì 18 febbraio alle ore 21 la rassegna cinematografica “Paesaggi che cambiano”, proposta dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche negli spazi Bomben di Treviso e dedicata al tema Cinema al fronte: sui luoghi della Grande Guerra.
In programma la visione di Maciste alpino di Luigi Maggi e Luigi Romano Borgnetto (Italia, 1916, 80’), film restaurato per essere presentato alla 71ma Mostra di Venezia in occasione del centenario della Grande Guerra. Accompagnamento musicale dal vivo eseguito dal fisarmonicista Igino Maggiotto.
Si tratta di una rara e importante testimonianza italiana dell’arruolamento del cinema sul fronte interno della guerra: seppure con le sue ingenuità narrative e semplificazioni retoriche, il film si presenta infatti come un efficace strumento di propaganda ovvero un«meccanismo di traduzione delle ragioni della guerra» a livello popolare (M. Mondini, La guerra italiana. Partire, raccontare, tornare 1914-18, Bologna, Il Mulino, 2014, p. 251). Nella storia raccontata il nemico Imperial-Regio ha tutte le caratteristiche negative (crudeltà, stupidità, vigliaccheria), mentre chi sta dalla parte del Tricolore ha solo quelle positive: dal coraggio alla generosità, fino al senso dell’umorismo.
Sceneggiatore e supervisore del film fu Giovanni Pastrone, che aveva diretto due anni prima Cabiria, dal quale proveniva anche il personaggio di Maciste, interpretato dallo scaricatore del porto di Genova Bartolomeo Pagano (che continuò fino al 1926 a vestire i panni del gigante buono). Improbabile la trama che, in un gioco di specchi, rinvia proprio al cinema: una troupe italiana, arrestata in Austria allo scoppio del conflitto, viene liberata dall’intervento dei pugni del forzuto Maciste che, passato il confine e messi in salvo i cineasti, si arruola negli alpini per continuare ad affrontare a mani nude l’esercito dei “mangiasego”. Farsesco e superficiale, il film sembra introdurre e sottolineare una efficace variante plebea dell’individualismo dannunziano che ha avuto i suoi frutti, tra guerra e dopoguerra (l’impresa di Fiume), nel fenomeno dell’arditismo.
La rassegna proseguirà mercoledì 4 marzo alle ore 21 con All’ovest niente di nuovo di Lewis Milestone (USA, 1930, 105’). Tratto dal romanzo di Erich Maria Remarque (1929), il film racconta la guerra di quattro giovani studenti tedeschi: arruolatisi volontari su istigazione di un insegnante nazionalista fanatico, scopriranno che gli ideali di coraggio, dovere, imperativo morale sono vuote parole di fronte alla brutalità della guerra, dalla quale nessuno di loro farà ritorno (i soldati tedeschi morti in guerra furono un milione e ottocentomila).
Mercoledì 18 marzo alle ore 21 sarà la volta de La grande illusione di Jean Renoir (Francia, 1937, 113’). Come ogni vero capolavoro, questo film (vietato dal regime fascista, fu visto in Italia solo nel 1947) non può essere ridotto al riassunto della sua trama, che narra dell’evasione da una fortezza tedesca di alcuni prigionieri di guerra francesi. Lo sceneggiatore, Charles Spaak, e il regista hanno saputo inserire, accanto al contrasto più evidente tra i soldati di due potenze nazionali, quello più latente ma non meno importante tra i membri di classi sociali diverse.
Uomini contro di Francesco Rosi (Italia-Jugoslavia, 1970, 101’) sarà proiettato mercoledì 1 aprile alle ore 21. A quasi vent’anni di distanza dalla sua esperienza di ufficiale della Brigata “Sassari”, Emilio Lussu aveva scritto Un anno sull’altipiano che Rosi ha tradotto in immagini insieme a Tonino Guerra e Raffaele La Capria (sceneggiatori), girandolo tuttavia sui contrafforti aspri del Velebit dalmata e non sulle montagne dei Sette Comuni. Il clima post-sessantotto ha esaltato l’antimilitarismo del libro e la sua demistificazione dell’eroismo.
Il ciclo si concluderà mercoledì 15 aprile alle ore 20.30 con Una lunga domenica di passioni di Jean-Pierre Jeunet (Francia, 2004, 132’). Nelle trincee della Somme cinque soldati francesi, condannati a morte per essersi mutilati volontariamente, sono abbandonati nella terra di nessuno di un avamposto che è sotto il fuoco incrociato franco-tedesco. La romantica Mathilde, fidanzata di uno di loro, si rifiuta di credere alla morte del suo amoroso Manech e intraprende una personale e caparbia ricerca, anche con l’aiuto di un detective, raccogliendo indizi e collegandoli alle sue più diverse intuizioni e superstizioni.