"A margine del mestiere": il terzo libro (inedito) di Giuseppe Davanzo presentato a Cartacarbone
Nell’agosto del 1991 l’architetto Giuseppe Davanzo non può navigare come tutte le estati verso l’Istria, dove c’è la guerra e, confinato nel suo “rifugio” di pietra nel porticciolo di S. Croce di Trieste, per occupare i caldi pomeriggi estivi comincia a scrivere. Incoraggiato dai suoi primi lettori racconterà allora la sua infanzia in paese e poi la giovinezza a Treviso, fino alla chiamata sotto le armi, in due libri di episodi vivaci, struggenti o divertenti. La scrittura autobiografica gli permette di cogliere le connessioni tra le sue diverse esperienze esistenziali e creative, mentre la narrativa, con i gialli, ambientati nelle sue architetture e all’Università, lo IUAV di Venezia (dove ha insegnato dal 1962 al 2000) gli sembra possa aiutarlo a metabolizzare storture e incongruenze, attraverso l’invenzione e, soprattutto, l’ironia.
“A margine del mestiere” (Il Poligrafo), pubblicato postumo, a dieci anni dalla scomparsa di Davanzo va a concludere una specie di “trilogia”, dopo “Albergo alla stazione” (1994) sull’infanzia trascorsa a Ponte di Piave e “Alla Bella Treviso” (2001) sull’adolescenza, dal trasferimento in città e fino alla partenza per il fronte. I racconti e i pensieri “a margine” appunto, del mestiere di architetto tirano le somme di un’esistenza segnata, come quella di tanti coetanei, dall’esperienza della guerra e della prigionia, dall’esaltante clima degli anni della ricostruzione postbellica, dai rapidi cambiamenti economici, sociali, politici e di costume degli ultimi decenni.
Dopo una presentazione della figura dell’autore e del contesto in cui opera, coordinata dalla giornalista Elena Filini e con Domenico Luciani (già direttore FBSR) , un chiarimento sui criteri di scelta delle immagini che illustrano il libro e sulla cura dei testi (le figlie, Martina e Serena Davanzo) un reading per voce e musica di Mirko Artuso con la piccola bottega Baltazar di Giorgio Gobbo (voce e chitarra) e Sergio Marchesini (fisarmonica) si proporrà di sottolineare come nel libro emerga una singolare coerenza che annoda momenti e passioni diverse dell’esistenza di Davanzo e li riconduce alla forte esperienza delle prime scelte del tempo della guerra e del primo dopoguerra.
"I dubbi, le incertezze di un uomo che si decide a seguire la propria vocazione dopo l'esperienza determinante della guerra. E il clima di incertezza politica della ricostruzione, l'energia e la leggerezza della gioventù emergono con grande evidenza da questi scritti- conferma Mirko Artuso- ne è uscito un recital di stampo classico dove la musica sarà il commento di un'epoca. Canzoni e motivi che uscivano dalla radio in quegli anni". Per un giovane che oggi affronti la professione di architetto come per chiunque voglia indagare il contesto storico che ha determinato la formazione e i diversi percorsi della generazione dell’autore, potrà essere di qualche interesse scoprire nei racconti l’origine di questa sorprendente continuità nell’affrontare qualsiasi attività creativa, da quella più impegnativa della progettazione architettonica alle occupazioni del “tempo libero”, come il lavoro al tornio o la fotografia, ma anche le relazioni umane e le scelte ideologiche.
"Giuseppe Davanzo, articola il libro in diciannove quadri che corrono lungo un arco di tempo di oltre sei decenni, dal suo arresto l’8 settembre ‘43 alla sua morte l’8 settembre 2007-spiega in una delle due prefazioni Domenico Luciani- Lui insiste, in più punti, e il lettore curioso si divertirà a trovarli, sull’idea che il racconto autobiografico si occupa di sessant’anni esatti, perché calcola l’intervallo 1945-2005, ma in realtà i quadri del suo diario iniziano gettando luce sull’esperienza di quel cruciale settembre ‘43".
E’ dal Fort Coudon che si parte, precisamente dall’osservatorio di “Mont Faron, a quota 478 sopra Toulon,…”, da quel “volto sereno e intellettuale” del giovane ufficiale della Wehrmacht che lo arresta, da luoghi della Francia meridionale e della Germania settentrionale perfettamente identificati. L’Hotel du Golf a Hyères. L’edificio di Erikastrasse 41 in Amburgo. La scuola di Eppendorf. La fabbrica di Wietzendorf, dove conosce un meccanico tedesco che gli insegna a stare al tornio, un altro mestiere con le mani che gli piace, un ennesimo furto con gli occhi che verrà utile quando ci sarà da divertirsi a lavorare il legno. Abbiamo insomma davanti a noi un ventiduenne trevigiano, geometra di Ponte di Piave, da poco iscritto a Venezia alla Scuola di Architettura, trasformato dalla guerra in sottotenente e in prigioniero, anzi Internato Militare Italiano, IMI. E tutto perché ha detto no. “Bastava un “si”. Eppure non l’ho mai voluto pronunciare. Perché?”.
“Le annotazioni nelle quali circola questa domanda, sparse in modo diretto o indiretto in vari punti del libro, sono tra le più significative per intendere il senso e il gusto della memoria che lo percorre-conclude Luciani- E’ proprio intorno a questo interrogativo che Davanzo lavora a estrarre con cura dal suo deposito di ricordi quei frammenti che gli servono per ricostruire le figure cruciali e i valori costitutivi della sua formazione, le relazioni che hanno dato forma al suo modo di stare al mondo”.