Charles Péguy: a cento anni dalla morte
In occasione del centenario della morte di Charles Péguy, il Centro culturale Péguy di Treviso, a lui dedicato, ha organizzato una serie di iniziative che si svolgeranno in città da venerdì 10 a domenica 19 ottobre.
La Mostra "Storia di un'anima carnale" presente all'ultima edizione del Meeting per l'amicizia fra i popoli di Rimini nell'agosto scorso, farà la sua prima uscita a Treviso dal 10 al 19 ottobre presso il Battistero del Duomo.
Sabato 18 ottobre alle ore 10, presso l'auditorium Santa Croce dell'Università di Treviso, Pigi Colognesi, curatore della mostra Meeting ed autore per Rizzoli di una biografia di Péguy, terrà un incontro dal titolo La fede che preferisco è la Speranza.
Nel pomeriggio di sabato 18, street reading itinerante nelle piazze di Treviso con proposta di brani dalle opere di Péguy.
Info: peguy.treviso@gmail.com
Perché una mostra e altri iniziative su Charles Péguy? A giustificarla non può bastare il fatto che lo scrittore francese sia morto nel 1914 e che quindi ci troviamo davanti a un anniversario tondo, di quelli che solitamente danno spunto a convegni, celebrazioni e pubblicazioni varie. Il nostro autore si sentirebbe stretto in gabbia se si decidesse di parlare di lui come di un monumento del passato, seppur venerato, e si ribellerebbe a veder trattate le sue parole come residui morti sui quali gli specialisti fanno le loro dotte analisi: sono parole nate vive - cioè frutto di una sofferta partecipazione esistenziale - e vive devono rimanere.
In mezzo all'enorme mare degli scritti di Péguy, qual è il punto che riteniamo essenziale? Péguy ha lasciato pagine memorabili di sofferta partecipazione al dramma degli esclusi, di penetrante critica dell'uso ridotto della ragione tipico del «mondo moderno», di veemente ribellione di fronte alla «mistica» rimpicciolita in «politica», di partecipata immedesimazione con passi del Vangelo, di passione per la propria patria: che cosa privilegiare?
Péguy ci ha inoltre parlato in modo indimenticabile della «piccola speranza», della nobiltà del «lavoro ben fatto», della grazia che buca le corazze più dure ed è impotente di fronte alle «anime abituate», del padre che è «il più grande avventuriero della storia» e del bambino che è «l'innocenza» che non si recupererà mai più, di Dio quasi imbarazzato di fronte alla libertà umana.
Ma il punto infuocato di Péguy è la parola «avvenimento». Péguy, infatti, ci ha aiutato a ricordare che la dinamica dell'avvenimento è essenziale per ogni autentica conoscenza.
Péguy ci ha detto, con splendore di parole taglienti, che il cristianesimo stesso è, supremamente, avvenimento e che ridurlo a qualsiasi altra cosa - discorso o morale, organizzazione o devozione, ricordo o utopia - significa immiserirlo fino al punto di soffocarlo.
Il tentativo anche della proposta trevigiana, con la Mostra, l'incontro con Colognesi e le letture disseminate nelle strade e piazze della città, intende in questo senso essere un avvenimento. Ma Péguy ci ha insegnato che l'avvenimento avviene quando avviene, è imprevisto ed imprevedibile, noi non possiamo produrlo.
La Mostra
La mostra ripercorre la vicenda personale dell'autore, un bambino nato in famiglia povera, resa monca dalla morte prematura del padre, educato contemporaneamente nella scuola laica e nella parrocchia, a cui si apre la prospettiva di studi superiori. Un giovane che abbandona la pratica religiosa, sentita come superflua, e che abbraccia il socialismo inteso come soluzione più accettabile per realizzare una giusta convivenza dalla quale nessuno sia escluso, la «città armoniosa» come Péguy la descrive.
Una delle sezioni della mostra è intitolata «Dal Getsemani» e descrive gli anni della vita di Péguy dal 1907 al 1910. Il giardino in cui Gesù ha vissuto la sua agonia (sulla quale Péguy ha scritto pagine immortali) può essere preso a simbolo degli anni in cui lo scrittore ha vissuto su di sé la profonda crisi del mondo che lo circondava: crisi di ideali alti, di pensiero autentico, di solidarietà vissuta, di giustizia praticata, di politica utile. Crisi esterna, accompagnata da gravi difficoltà personali: malattia, povertà, solitudine, sbandamento affettivo. Ma come nel giardino degli ulivi Cristo ha posto - «Fiat voluntas tua» - il seme della resurrezione, così, da quel periodo di acuta sofferenza, Péguy ha tratto lo slancio del rinnovamento: attraverso la riscoperta della fede «di quando eravamo bambini». Non una «conversione» intesa come rinnegamento del passato, ma una rifioritura come di un albero che trova più profonde sorgenti di linfa.
È dall'avvenimento di questa rinascita che sgorgano le grandi opere dell'ultimo periodo della vita di Péguy (1910-1914), quelle più famose e citate: il tre Misteri, il Laudet, Il denaro, gli Arazzi, Eva e le due Note.
Su tutto questo itinerario umano, Péguy ha continuamente riflettuto e scritto, e per noi oggi l'unica possibilità per partecipare alla sua esperienza è quella di leggere le sue parole.
Largo spazio nella Mostra viene dedicato a citazioni dalle opere e anche nello street reading di sabato 18 ottobre pomeriggio per le piazze cittadine verranno proposte ampie citazioni dell'autore.
L'«anima carnale» di cui in mostra si cerca di fare la «storia» è, ovviamente, quella di Péguy stesso. Ma lo è proprio in quanto lo scrittore ci ha fatto capire che ogni avvenimento è un dato concreto, carnale, portatore però di un'anima, di una tensione al significato che eccede l'apparenza.
Inoltre «anima carnale» per eccellenza è stato Cristo: nell'avvenimento della sua incarnazione, della sua vita privata e pubblica, della sua morte e risurrezione Egli ha reso presente il sublime «incastro» dell'eterno nel temporale e, reciprocamente, del temporale nell'eterno: «Un Dio, amico mio, Dio si è scomodato, Dio si è sacrificato per me. Ecco qua del cristianesimo».
Péguy ha scritto pagine importanti anche sul lavoro e le quattro stazioni dello street reading avranno come tema il popolo, il lavoro, l'avvenimento e la grazia.
«Io mi sono sempre nutrito di tutti, perché tutti hanno molto più spirito di me. Ho pietà quando vedo questa gente di propaganda insegnare al popolo quello che il popolo sa meglio di loro, quello che il popolo saprebbe anche se non avessero inventato i giornali. Io non sono affatto l'intellettuale che abbassa e condiscende al popolo. Io sono popolo».
Sul lavoro: «Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto».
Nello street reading le letture saranno proposte non da attori professionisti, ma da semplici lavoratori e studenti degli istituti cittadini.