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Caporalato nella Marca, le Acli trevigiane: «La nostra società è paraschiavistica»

Il presidente: «La tratta ai fini di sfruttamento lavorativo e sessuale sono i due principali asset qui in Veneto, insieme all'accattonaggio forzato ed allo spaccio di droga»

Non c’è settore che non sia coinvolto con l’inevitabile strascico di miserie, pressioni, minacce quando non vera e propria violenza. Eppure, lo sfruttamento del lavoro - con la sua piaga più terribile e cioè le persone trafficate e schiavizzate nei campi, nei capannoni, nei laboratori...- è perfettamente integrato nei sistemi produttivi regolari del nostro territorio. Se ne parla raramente e solo quando le inchieste dei carabinieri portano alla luce situazioni di grave violazione dei diritti, senza che tuttavia si consumino parole per dire con forza il proprio sconcerto e la coscienza delle persone rimane illesa.

Eppure, a 5 anni ormai dall’entrata in vigore della legge sul reato di caporalato nel nostro Paese, che molto ha fatto per far emergere il fenomeno, la nostra società non sembra aver in alcun modo creato anticorpi e men che meno consapevolezza sul fatto che uomini e donne, spesso vittime di tratta, lavorano anche nel territorio sfruttate e schiavizzate. Ma fenomeni come questo, parlano prima di tutto di noi, dicono del nostro sistema di vita, raccontano chiaramente che “la società signorile di massa” come l’ha definita Ricolfi, per poter mantenere il proprio livello di benessere deve prevedere queste forme di sfruttamento.

LAVORO SFRUTTATO IN OGNI SETTORE

“La tratta ai fini di sfruttamento lavorativo e sessuale sono i due principali asset qui in Veneto, insieme ad accattonaggio forzato ed impegno in economie illegali come lo spaccio di droga. Così ci hanno spiegato le referenti del progetto Navigare della Regione Veneto, intervenendo la scorsa settimana al nostro consiglio provinciale Acli – racconta Alessandro Pierobon, presidente dell’associazione trevigiana -. Il caso Grafica Veneta chiarisce bene la dinamica che si ritrova simile in tante situazioni in tutti i settori, per primo nell’agricoltura dove gli imprenditori utilizzano vere e proprie cooperative senza terra, aziende a tutti gli effetti che sfruttano i lavoratori”. Dal 2016 esiste una rete del lavoro agricolo di qualità per incentivare comportamenti virtuosi. Nel trevigiano sono attive circa 14.000 aziende agricole e al 2018 le aziende con certificazione erano 14. Si registrano inoltre esempi in edilizia, nella logistica, nel volantinaggio, nella cantieristica (navale), nel tessile.

VULNERABILI CON CONTRATTO

“Tutti i lavoratori vittime di sfruttamento vivono situazioni di forte vulnerabilità, in primo luogo per la precarietà giuridica: il titolo di soggiorno per le persone straniere è un elemento centrale, serve loro per avere una possibilità reale in Italia. Per ottenerlo molti si affidano a connazionali”. La seconda caratteristica è che avere un contratto di lavoro regolare non è da solo indice di non sfruttamento. “Tutti ormai sulla carta hanno contratti formalmente validi. Il punto è che non vengono rispettati, per esempio ai lavoratori tocca di devono rimborsare il datore di lavoro per malattia, oppure “restituire in nero” parte del salario percepito”. Infine, la scarsa conoscenza della lingua italiana e dei diritti dei lavoratori nel nostro paese rappresentano ulteriori elementi di criticità.

Intercettarli è difficile, perché di norma queste persone non si rivolgono a sportelli o servizi, nemmeno all’ospedale. La via più “battuta” restano le ispezioni dei carabinieri del lavoro. “Anche sulla percezione di essere sfruttati c’è molta confusione – sintetizza Pierobon -, le persone non conoscono cosa significa essere vittime di sfruttamento. Con i cinesi, ad esempio, capitava spesso, ora “sostituiti” specie nel tessile dai pakistani che costano meno”. Una volta usciti dal circuito paraschiavistico, per evitare il rischio di rientrarci, servono percorsi di inclusione sociale e lavorativa importanti. Il lavoro è requisito fondamentale per risiedere regolarmente in Italia, oltre che per mantenere la famiglia e spesso anche per avere un tetto sotto il quale dormire, per cui la leva ad uscire da situazioni di violenza deve essere molto forte.

LE TANTE FACCE DEI MANCATI DIRITTI

“Lo sfruttamento si consuma anche nella piena regolarità – ribadisce Chiara Pozzi dell’Ufficio lavoro del Patronato Acli di Treviso -. Da noi arrivano soprattutto lavoratori italiani, che dovrebbero conoscere i propri diritti eppure vivono situazioni ai limiti dello sfruttamento. Per esempio persone che hanno lavorato, mentre formalmente erano in cassa integrazione Covid; oppure dipendenti con errato inquadramento professionale come un capo chef con contratto di lavapiatti o una store manager assunta come aiuto commessa. E tutto questo perché il lavoro, oggi, non ci si può permettere di perderlo”. Non parliamo delle maternità con il giochino del demansionamento, oppure della restituzione di somme di denaro in caso di malattie o ferie, di finti part time o ancora di tirocini per i giovani che in realtà sono veri e propri lavori mascherati. E se ci affacciamo al l’impiego in ambito domestico le cose si complicano ancora di più.

“Il tema a questo punto non è solo la trasformazione del mondo del lavoro – commenta Pierobon -. Primo e più importante è quello dell’indifferenza. Perchè i pulmini che scaricano persone nei nostri infiniti vigneti a potare le viti li vediamo tutti, così come tutti conosciamo le tante forme di prevaricazione che accadono tutt’oggi”. E il fatto che i corpi sociali intermedi non facciano più formazione sui diritti del lavoro e sulla legalità fa di conseguenza. “E’ evidentemente molto complesso correggere questa drammatica stortura della nostra società, specie perché la presenza para-schiavistica di un sistema di sfruttamento del lavoro permette a tutti di godere di prestazioni, beni e servizi a costi meno esosi. Le azioni di contrasto e controllo sono tutte necessarie, le norme legislative vanno seriamente applicate. Nei tavoli preposti ci sono poi progetti di monitoraggio ed emersione. Oltre a questo, però, servono percorsi e proposte di tutela delle vittime di sfruttamento lavorativo e una azione preventiva di ampia portata, che renda consapevoli tutti di una piaga che non possiamo più relegare solo ad alcune aree del Paese”.

Per le Acli trevigiane è necessario allora sollecitare le nostre comunità a non accettare passivamente che questi fatti continuino a succedere, smorzando le reazioni e cadendo velocemente nell’oblio, crediamo sia necessario trovare modi per tenere alta l’attenzione. “Per quel che starà a noi, il nostro impegno, come associazione e dentro alle reti cui partecipiamo, andrà nella direzione di promuovere percorsi di approfondimento e progettazioni che sempre più mirino a informare, prevenire, tutelare. Sul serio”.

UN SEGNO CONCRETO

Ecco allora la proposta concreta: un mese di tempo per raccogliere dei fondi da destinare a borse lavoro per persone in povertà. E' quella partita il 17 ottobre, giornata mondiale del contrasto alla povertà e che si concluderà il 14 novembre, giornata dei poveri per la Chiesa Cattolica.

“Nel 2021 abbiamo avviato 10 tirocini di inserimento lavorativo finanziati da un bando regionale. Ora il progetto sta per concludersi e fino alla prossima primavera non ci sono più fondi per dare seguito a questi percorsi. Perciò chiediamo l’aiuto di tutti, i nostri circoli, gli associati Acli, le persone che desiderano contribuire alle nostre iniziative: di essere "ponte" e sostenere con un contributo una borsa lavoro per dare continuità a quanto avviato fino al nuovo bando”. Per chi ha perso il lavoro con il Covid 19 si tratta di una opportunità di ripresa. Per le persone in grave marginalità, questi tirocini sono uno strumento importante di cambiamento, inclusione ed anche prevenzione sociale.

Si può effettuare una erogazione liberale con Paypal accedendo dal sito www.aclitreviso.it, con bonifico c/c postale n. 1030145773 o c/c bancario codice iban IT91 E030 6909 6061 0000 0160 787, rivolgendosi alla segreteria provinciale Acli o ai Circoli sul territorio. Le donazioni alle Acli sono fiscalmente detraibili secondo la normativa vigente.

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